I numeri – almeno quelli – sono chiari. Più della metà dei consensi che hanno portato i Cinque Stelle al governo sono arrivati da elettori delusi dalla sinistra. Elettori che hanno abbandonato il PD, e che non hanno trovato nella galassia delle sigle nate dalla sua crisi una valida alternativa. Elettori che a torto o a ragione hanno affidato a una nuova forza politica, non compromessa con i precedenti e fallimentari governi, le loro speranze di un cambiamento della società. Dunque è quantomeno curioso che dopo il voto di marzo il PD a guida renziana abbia rifiutato ogni forma di dialogo con quella forza, ottenendo il brillante risultato di scomparire dalla scena politica e di catapultare al governo la Lega, che ne ha approfittato per moltiplicare i consensi. Curioso, ma non inaspettato. Accade quando un partito smarrisce i suoi fondamentali e con loro la comprensione della realtà: basti pensare agli errori commessi con la disastrosa gestione della riforma costituzionale e della successiva campagna referendaria.
Ricordare quei passi falsi è importante, perché gli errori del passato dovrebbero servire a evitare quelli futuri. Purtroppo, però, non sembra che la sinistra abbia imparato la lezione, e anzi si ha la sgradevole sensazione che alcuni dei suoi dirigenti, dovendo proprio scegliere, butterebbero dalla torre Di Maio e salverebbero Salvini. Non è certo un caso, ad esempio, che dai giornali di riferimento come Repubblica continuino ad arrivare con cadenza quotidiana grossolane mistificazioni e sfottò nei confronti dei Cinque Stelle, dipinti come una massa di stupidi e ignoranti, incapaci di una azione politica degna di questo nome, Ora, se è vero che alcuni ministri pentastellati sembrano messi lì apposta per attirare gli sfottò, è anche vero alcuni provvedimenti ispirati da quel partito, come la riforma delle pensioni e il reddito di cittadinanza, rispondono a esigenze reali di ampi strati della popolazione un tempo vicini alla sinistra. Anche soltanto per questo avrebbero meritato una discussione di merito anziché la condanna a priori che è arrivata. E degne di nota, in una prospettiva di sinistra, sono anche alcune storiche posizioni del movimento sui beni comuni, sui problemi ambientali, sulla lotta alla corruzione, sul conflitto di interessi, e perfino sul modo di affrontare l’emergenza migranti.
In questi giorni la politica italiana è in movimento, e non mancano le tensioni nella maggioranza, complici i sondaggi che segnalano l’ascesa del rampante Salvini e la flessione dell’inconsistente Di Maio. Alcuni nodi, a partire dalla spinosa questione della TAV, verranno al pettine con le prossime scadenze elettorali in Europa, in sei regioni e in moltissimi comuni tra cui 26 capoluoghi di provincia.
La sinistra non può farsi eccessive illusioni: terza forza era e terza forza resterà, non soltanto perché il governo continua a godere di un vasto consenso, ma anche e soprattutto perché finora non è stata in grado di elaborare proposte alternative credibili. La corsa di Zingaretti è appena agli inizi, e sul frenetico agitarsi dell’ex portaborse di Montezemolo Calenda la carità di patria impone di tacere. Ci sarà però qualche spazio di manovra in più, soprattutto se il PD riuscirà a liberarsi dalla spocchiosa pretesa di rappresentare la parte migliore della politica, ingiustamente penalizzata dalla immaturità degli elettori. A quel punto dovrà decidere se è meglio dialogare con Cinque Stelle, con i loro errori e le loro ingenuità, ma anche con il loro desiderio di cambiare il mondo, o con la destra salviniana, pericolosamente incline a una concezione fascista della società e dello stato. In fondo, servirebbero soltanto qualche battuta in meno sulle gaffes di Toninelli e qualche ragionamento in più.
Battista Gardoncini