Applausi scroscianti hanno accolto la resa del presidente del Coni Malagò, che poco fa ha annunciato commosso la fine del sogno olimpico di Roma 2024. Malagò giocava in casa, nel corso di una affollata conferenza stampa al Foro Italico, e ha recitato benissimo la parte dell’uomo di sport sconfitto a un passo dalla meta, pugnalato alle spalle per motivi che ha definito “ideologici e demagogici”, e comunque mai domo. Infatti, nella stessa conferenza, ha annunciato che candiderà Milano per ospitare la sessione del comitato olimpico internazionale del 2019, e che dedicherà tutte le forze sue e della sua struttura “sui nostri asset che a Roma sono il Centro di Preparazione Olimpica Giulio Onesti e il Parco del Foro Italico, un’area che il mondo ci invidia e sui quali la Coni Servizi da oltre un decennio ha investito e continuerà a farlo”. Ben poca cosa, rispetto ai milioni che sarebbero arrivati con le Olimpiadi, e c’e’ dunque da capire il disappunto suo e del presidente del comitato promotore Montezemolo, che si sono visti sfilare dalle mani un giocattolo tutto d’oro.
Lasciamo parlare i bilanci, o meglio quel che si può desumere dalle loro pieghe. Soltanto per preparare la candidatura, i nostri eroi avrebbero già speso, secondo una recente analisi, circa 10 milioni di euro in viaggi, rifacimento uffici, consulenze e non meglio identificati altri servizi. Di questi, 2 milioni e duecentomila euro riguardavano il bilancio 2015, e gli altri sono riferiti al 2016, mentre per il 2017 il governo aveva già stanziato 8 milioni, che a questo punto si spera vengano dirottati altrove.
Non male per una semplice candidatura senza garanzie di vittoria, perché in campo c’erano anche Parigi, Budapest, Los Angeles e e Amburgo. Malagò sostiene che la proposta di Roma “sarebbe stata difficile da battere”. Può darsi, ma è bene ricordare che anche nelle città rivali si sono messi all’opera comitati altrettanto agguerriti e disposti a tutto pur di vincere, e che sulla trasparenza dei meccanismi decisionali del Comitato Olimpico Internazionale esistono da anni fior di dubbi e di inchieste. Tanta sicurezza lascia un po’ perplessi, a meno che Malagò sappia cose che i comuni mortali non sanno, e che forse è meglio non sapere.
Del resto, sono tante le cose non dette nel corso della conferenza stampa del Foro Italico. E su una in particolare vale la pena di soffermarsi. Il no del sindaco Raggi e del consiglio comunale di Roma alle “olimpiadi del mattone” non è arrivato come un fulmine a ciel sereno, e non può essere considerato – come ha sostenuto Malagò – la demagogica scelta di un gruppo politico fortemente ideologizzato. Contro le Olimpiadi a Roma si era espresso a suo tempo un uomo non sospetto di simpatie grilline come Mario Monti. Nel 2011 si parlava delle Olimpiadi del 2020, ma è interessante ricordare le obiezioni avanzate allora dal primo ministro: il progetto prevedeva un impegno finanziario che avrebbe gravato eccessivamente sulle tasche già duramente provate dei contribuenti e non era compatibile con il piano di rientro del debito pubblico che l’Europa chiedeva all’Italia.
Oggi le cose non sono cambiate di molto, e nel quadro vanno inserite anche le note vicende di Roma capitale, travolta da troppi errori di gestione e dalla corruzione dilagante, incapace perfino di raccogliere i propri rifiuti. I sostenitori della causa olimpica hanno sbandierato nel corso di questi mesi alcuni compiacenti sondaggi sulle percentuali di cittadini romani favorevoli alla candidatura. Gli stessi sondaggi sono molto più cauti sui sentimenti del resto del paese, che sembra assai meno entusiasta.
E’ dunque lecito chiedersi se in un ipotetico applausometro avrebbero vinto gli scroscianti applausi degli amici di Malagò o i sommessi sospiri di sollievo dei tanti che nella fine dell’avventura olimpica hanno visto la vittoria del buon senso.