Era il 1974 quando quel ragazzo cresciuto a silenzi e calcio dall’oratorio di Cernusco sul Naviglio e poi nell’Atalanta amica si presentò al cospetto di Boniperti per raccogliere l’eredità di Saldavore che fu uno dei sommi. Gaetano entrò e non uscì più, prima compagno di Cuccureddu e Morini, poi a comandare una difesa in cui comparivano Zoff, Gentile, Cabrini comparve lui il mite Gai. Già grandissimo, eppure chiedeva a chi (presumeva) ne sapesse più di lui se si poteva sganciare. Nel sabaudo rispetto dei ruoli. Come accadde in un derby che il Toro tremendista stava comandando e lui ribaltò con due gol di pura rabbia ed esultanza palesata, strana per lui così misurato.
Tanti anni sono passati dal giorno infame della sua morte eppure la figura di Scirea continua a stagliarsi, esempio di grandezza. Gaetano è stato il campione infinito che Trapattoni definì: «Leader con il saio» e Bearzot: «Giocatore unico, grandissimo, un angelo. Se mai c’è stato uno per cui bisognava ritirare la maglia quello era lui». Prima dell’avvento di Del Piero uno dei tre capitani massimi con Scirea e Boniperti, era stato lo juventino più juventino di sempre. Fedelissimo alla Signora le aveva regalato tutto in Italia, in Europa nel mondo. E in cima al mondo portò anche l’Italia, offrendo a Tardelli l’occasione dell’urlo nella notte magica di Madrid del 11 luglio 1982.
Sempre. Nel gesto atletico, nella forma, nel rispetto dell’avversario mai considerato nemico. Ligio, riconoscente rinunciò nel nome della juventinità a un importantissimo ruolo nella Roma. Quando sbocciò dalla Primavera nella prima squadra dell’Atalanta fu incoraggiato a far pressione sugli avversari, essere più cattivo. Mai Gaetano avrebbe derogato tant’è che terminò l’infinita carriera senza un’ammonizione.
Zoff adottò subito quel ragazzo uomo intuendo di che pasta era fatto, dapprima baluardo, bastione, maestro d’eleganza al limitar dell’area e dopo in panchina con lui per continuare a percorrere la strada di un calcio romantico destinato a perdersi. Gaetano e Dino parlavano con lo sguardo e bastavano i loro gesti solenni. Vivevano, diffondendolo, un fragoroso silenzio. E se la parola è una chiave, il silenzio è il grimaldello.
Lontano, lungo la strada che unisce Varsavia a Cracovia, la città santa, Gaetano Scirea ex capitano, promosso aiutante in campo, tornava da una missione di cosiddetto “ spionaggio”. Aveva visionato il Gornik Zabrze modesta squadra polacca che avrebbe affrontato la Juve in Coppa Uefa. Su una vecchia Fiat 125, insieme con gli orgogliosi dirigenti del club dei minatori, Gaetano non vedeva l’ora di tornare a casa dalla sua Mariella e Riccardo che l’aspettavano al mare, nella casa di Andora.
il destino s’impadronì della vita di quell’uomo buono. Un sorpasso azzardato, lo schianto frontale contro un furgone, poi il rogo innescato dalle taniche di benzina stipate nel bagagliaio. Così sulla dissestata strada di Skierniewice imprigionati dentro la bara di fuoco morirono Gaetano, l’autista e l’interprete si salvò solo il dirigente del Gornik sbalzato dall’auto in fiamme. Così calava un lugubre tramonto di quel giorno infame. Se i giorni vengono distinti fra loro la notte ha un solo nome. E sul far della notte la notizia deflagrò nel modo più crudele, annientò Mariella e Riccardo davanti alla televisione. Fu Sandro Ciotti a dare la notizia alla Domenica Sportiva. In studio anche il suo ex compagno di squadra Marco Tardelli, distrutto dal dolore. Maledetto quel giorno: era il tre settembre millenovecentottantanove…
Marco Patruno