Non manco mai alle mostre di World Press Photo, l’organizzazione no-profit che dal 1955 propone il meglio del fotogiornalismo mondiale. Quella in corso a Torino a Palazzo Madama è una buona occasione per vedere tutte insieme, stampate con grande cura, immagini realizzate in ogni angolo del globo da professionisti che sfidano difficoltà e pericoli per i loro scatti. Grazie alle loro opere catastrofi ambientali, tragedie umanitarie o anche soltanto aspetti curiosi ed emblematici della vita quotidiana sono arrivati nelle nostre case con una immediatezza che soltanto la fotografia può dare, e che a volte colpisce più di quanto possa fare la parola.
Negli archivi delle passate edizioni ci sono fotografie che hanno contribuito a modificare la nostra visione del mondo. Oggi ripensiamo al Vietnam, alla segregazione razziale e alle carestie africane attraverso il bianco e nero sgranato di quelle immagini. E lo scatto dell’uomo che si getta nel vuoto per sfuggire al rogo delle Torri Gemelle ci racconta più di mille resoconti sull’attentato.
Ma gli anni passano. Nelle più recenti edizioni della manifestazione, e in particolare in quest’ultima, ci sono foto molto interessanti, che però non hanno la forza evocativa di quelle del passato. E questo, secondo me, per due ordini di motivi, uno tecnico e l’altro di ordine generale.
Il motivo tecnico è legato agli enormi progressi della fotografia digitale. Con le macchine e le ottiche moderne si possono fare cose un tempo impossibili. La luce non è più un problema, il micromosso può essere eliminato, le inquadrature e i colori possono essere modificati in post-produzione. La tecnologia non può sostituirsi al talento, ma ha contribuito a spostare verso l’alto l’asticella delle prestazioni e a livellare la qualità. Il risultato è che guardando le foto di World Press Photo 2020 – tutte peraltro molto interessanti – si ha una impressione di uniformità che prescinde dalle differenze nei soggetti e nello stile.
Il motivo di ordine generale è l’assuefazione. Ogni giorno siamo bombardati da migliaia di informazioni e di immagini. Niente ci appare più nuovo e sorprendente. Niente ci colpisce per più di pochi secondi. Molte delle foto in mostra ci sembrano già viste, anche quando illustrano avvenimenti nuovi, perché ne abbiamo già incontrate molte altre simili. Non riusciamo a immedesimarci anche quando lo vorremmo. E questo è triste, perché la ragione ci dice che soltanto l’indignazione può darci la forza di cambiare un mondo pieno di ingiustizie.
Battista Gardoncini