La miniserie britannica “The Serpent”, visibile su Netflix, racconta con scrupolo documentario una storia vera, senza concedere niente allo spettacolo. Ed è proprio la rinuncia ad ogni drammatizzazione a renderla sconvolgente, perché tutto quello che si vede è accaduto davvero tra il 1975 e il 1976, senza che nessuna autorità intervenisse per fermare una lunga catena di omicidi tra i giovani che cercavano un futuro diverso tra le suggestioni e le droghe dell’estremo oriente. Soltanto la maniacale dedizione del giovane diplomatico olandese Herman Knippenberg mise fine alla strage e portò all’arresto del responsabile, Charles Sobhraj, nato a Saigon e cresciuto in una disagiata famiglia francese.
Sobhraj si era stabilito in Thailandia e commerciava in gioielli con la complicità di alcuni funzionari corrotti. Ma la sua principale fonte di guadagno erano i giovani occidentali che irretiva con l’aiuto della compagna canadese Marie-Andrée Leclerc e dell’indiano Ajay Chowdhury. Forniva loro la droga, li sfruttava, e quando non gli servivano più li avvelenava e usava i loro passaporti per i suoi traffici. Le vittime accertate furono almeno dodici. Tra loro c’erano anche due fidanzati olandesi. Indagando sulla loro scomparsa Klippenberg arrivò a Sobhraj, ma per lungo tempo le sue rivelazioni furono ignorate dalle autorità, e il terzetto fuggì dal paese.
Le vicende successive sono molto complicate, e non ve le racconto. Basti dire che a un certo punto Sobhraj diventò una specie di star televisiva in Francia, ma decise incautamente di tornare in Oriente. Oggi è in carcere in Nepal, mentre la sua compagna è morta per un tumore, e di Ajay Chowdhury non si sa più nulla.
La serie si fa guardare, anche se otto puntate sono forse troppe. Tahar Rahim è un inquietante Sobhraj, Jenna Coleman è la sua affascinante compagna, mentre Billy Howle è un efficace Klippenberg, tormentato dall’ansia di fare giustizia.