Una voce dal Nepal

Pubblichiamo una lettera appena pervenutaci da Kathmandu, in Nepal. Il suo autore è Navyo Eller, uno dei collaboratori di Segnavia54 che da molti anni vive nella capitale del Pese delle nevi.

NEPAL-EVERESTdi Navyo Eller – Di recente, il governo del Nepal ha promulgato una nuova normativa per le spedizioni. Sono state abbassate le royalties per le scale ed è stata introdotta la cauzione “ecologica”. Per quanto siano lodabili la diminuzione delle tariffe dei permessi e la rinnovata attenzione agli aspetti ecologici legati alla presenza delle spedizioni alpinistiche, dopo più di vent’anni di discussione, la realtà ambientale ai piedi dell’Everest non è migliorata granché, nonostante l’intervento delle numerose cleaning expeditions che hanno cercato di arginare il problema dei rifiuti.

A sentire i racconti molti scalatori, alpinismo e himalaysmo continuano a far rima con avventura, con ricerca di nuove frontiere interiori e, naturalmente, con tutta l’attenzione possibile nei confronti  della natura. Tant’è che si lamentano per  l’inquinamento, le nuove funivie, le nuove strade montane e via di seguito. Ma allora in virtù di quale stranezza, tutti assieme fanno la loro parte per inquinare, e ai piedi dell’Everest continua ad ammassarsi una montagna di rifiuti. Parliamo di immondizia non certo portata dai trekker, ma lasciata sul posto dalle spedizioni prima della discesa. Se ci si avventura al campo Base e oltre, è facile incontrare una selezione di rifiuti lasciati proprio dagli alpinisti: ammassi di bombole d’ossigeno, lattine, teli di plastica, medicine scadute, escrementi congelati e tutto ciò che d’altro si può immaginare. Al punto che ormai il campo base dell’Everest è considerato la discarica a più alta quota del mondo.

Sembra che le numerose dichiarazioni sull’impegno ecologico degli alpinisti e gli interventi dell’ultimo decennio, non siano riusciti a cambiare granché la situazione. Forse alle parole non sono seguiti i necessari passi pratici, o forse c’è qualcuno che mente, continuando ad associare le spedizioni alpinistiche all’ecologia. Qualcosa non torna, ma si sa che le cose vanno sempre un po’ così il business delle spedizioni, sia quelle individuali sia le “commerciali”, deve andare avanti.

Alla fine dei conti, anche gli scalatori che danno la colpa dei disastri ambientali alle spedizioni “commerciali” finiscono per essere soggetti commerciali a loro volta (nel loro caso, il rapporto con la clientela da accompagnare è solo sostituito dalla presenza di pubblicità e sponsor). In altre parole, secondo chi scrive, l’esistenza di spedizioni “non commerciali” appartiene alla più all’invenzione che  alla realtà.

È davvero triste constatare come molti appassionati di montagna finiscano per portare immondizia più in su che in giù. Com’è triste del resto il fatto che il governo del Nepal (il governo cinese in apparenza sembra molto meno interessato al problema), sia stato costretto a intervenire in mancanza di un cambiamento di atteggiamento nei confronti dell’ambiente.

Al momento, il governo nepalese ha introdotto un pacchetto di nuove norme che faciliteranno gli scalatori locali, i quali potranno affrontare con più serenità i costi deldiscaricahimalaya1 permesso di scalata, ma consentiranno un risparmio anche agli alpinisti stranieri. Nel nuovo regolamento, c’è però una piccola norma, peraltro assai significativa: scendendo dalla montagna, come già è stato spiegato su questo sito Web, oltre al materiale da scalata e all’attrezzatura, ogni alpinista dovrà riportare a valle almeno 8 chili di immondizia. A controllare che la regola venga rispettata, nelle stagioni di scalata la Polizia istituirà un campo mobile ai piedi dell’Everest per effettuare i necessari  controlli. Il presidio vigilerà su eventuali risse, ma verificherà che siano rispettate, da parte degli scalatori e dalle loro organizzazioni, le regole che vigono nel Paese ospitante.

Va comunque tenuto conto che, a fronte dei costi sostenuti da una spedizione alpinistica all’Everest, la cauzione “ecologica” di 4000 dollari potrebbe essere ancora troppo esigua. Di fatto, potrebbe esserci qualcuno disposto a perdere la cifra anticipata, pur di non accollarsi l’impegno del trasporto a valle dei rifiuti. Purtroppo, non esiste una certificazione indipendente o governativa in grado di confermare che una spedizione abbi effettivamente svolto un’attività “pulita” e non inquinante, e così molti scalatori si disfano sulla montagna di tutto ciò che farebbero fatica a riportare a valle.

Può essere che qualcuno trovi inadeguata la normativa appena introdotta, ma è impossibile non rilevare come la comunità alpinistica  troppe volte continui a usare due lingue diverse: la prima difende la libertà di scalare, sottolinea l’importanza dell’etica anche in alta montagna, afferma di voler promuovere l’ecologia e la protezione nei confronti dell’ambiente, la seconda invece se ne infischia del rispetto dell’Himalaya e di cime considerate sacre da chi vive alle loro pendici.

Per concludere, occorrerebbe poi una profonda riflessione sullo scontro avvenuto lo scorso anno tra sherpa e scalatori. Secondo chi scrive (seguo il mondo delle spedizioni da oltre 25 anni) un episodio come quello citato, evidenzia soprattutto la faccia “sporca” delle spedizioni, commerciali o non commerciali dirette alle vette dell’Himalaya. E in causa, stavolta sono chiamati anche gli alpinisti.

Questi sono gli aspetti che bisognerebbe approfondire, prima di puntare il dito sulle istituzioni locali affermando che esse non dispongono di un potere davvero efficace per contrastare chi non rispetta le più elementari regole di comportamento nei confronti di un ambiente che continua a subire offese.

 

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