Se n’è andato due anni fa. Era nostro amico da sempre. Si chiamava Jvan Negro, era una guida alpina ma a Torino molti lo chiamavano “l’angelo della Mole”, la Mole Antonelliana. Con due amici si occupava della manutenzione del monumento simbolo della città. Un lavoro acrobatico che solo la gente abituata a misurarsi con gli appicchi vertiginosi della montagna e con l’esposizione riesce a svolgere. Maurizio Puato, uno dei suoi compagni di lavoro, collaboratore di Segnavia54 sin dagli inizi, ha voluto ricordarlo. Tanto più che il 25 aprile sarebbe stato il compleanno di Jvan.
di Maurizio Puato – «Jvan, sai che con quella matassa di corda sulle spalle, così come sei, in brua sul cornicione, mi ricordi la locandina del film di Wenders, Il cielo sopra Berlino?».
«Davvero?».
«Sì, poi con questa atmosfera nebbiosa che c’è su Torino, la città lì sotto potrebbe anche essere Berlino».
Ci sediamo sul parapetto di una delle tre torri della nuova Spina 3 e guardiamo giù. Jvan tira fuori il pacchetto di Pall Mall rosse e se ne accende una. Siamo seduti come due bambini piccoli su una panchina dei giardini, e siccome le gambe sono più corte dello spazio che ci separa dal suolo, ciondolano nel vuoto.
«Tu l’hai visto, vero, il film?».
«Certo che l’ho visto. Bellissimo».
«Sembravi uno degli angeli che stavano sui tetti e ascoltavano i pensieri della gente. Guarda, Jvan: le persone stanno sotto, camminano, guidano… guarda quella mamma che sta accompagnando il bimbo a scuola. Pensa se anche noi potessimo ascoltare o meglio dare una forma ai nostri pensieri, ai nostri desideri…».
«Tanti palloncini colorati che salgono verso l’alto… pensa che immagine meravigliosa: dal basso delle strade, migliaia di palloncini colorati che salgono verso l’alto».
«Già. Pensa che foto potrei fare…».
«Guarda, guarda: c’è un palloncino che è rimasto incagliato nella grondaia di quel palazzo. Quello giallo, laggiù, lo sta portando via il vento… e guarda quello, quello rosso: è quello del bambino che la mamma teneva per mano, guarda come sta salendo in alto».
Queste parole che ho scritto non fanno parte di un dialogo immaginario tra me e Jvan Negro, ma sono le parole scambiate in uno dei tanti momenti condivisi con quell’uomo che mi ha insegnato a volteggiare nel vuoto appeso a una corda, con un buiolo di cemento o una latta di vernice appesa all’imbragatura. Jvan è stato per anni il vero e unico angelo custode della Mole Antonelliana. Mentre i torinesi si affannavano per le strade come tante formichine (perché davvero, quando guardi la città da centocinquanta metri di altezza, le persone sembrano delle formichine silenziose) Jvan cambiava una lampada anti collisione sulla guglia, sistemava un oblò della cupola o faceva qualsiasi cosa occorresse fare per prendersi cura del monumento tanto caro ai torinesi. Una volta finito il suo lavoro aereo, tornava giù al piano terra, sistemava lo zainetto con l’imbragatura e la corda sulla sua bicicletta La Parisienne (quale nome più appropriato?), si sistemava il suo basco nero sulla folta chioma argentata, si dava una sistemata ai grandi e nobili baffi e partiva, diventando anche lui una di quelle formichine silenziose che si vedono dall’alto.
Dicono che da due anni Jvan se ne sia andato, ma chi lo pensa sbaglia. Ivan ha scalato la Mole insieme a me e Renzo perché era quello che insieme avevamo deciso di fare. Vedo sempre la sua bicicletta da corsa parcheggiata nel cortile della Mole e, quando vado su in cima alla guglia, lo vedo lassù, seduto sotto il cono sommitale che sostiene la stella: lui fuma la sua sigaretta e mi guarda con quegli occhi che hanno il colore dell’azzurro del ghiaccio spesso delle sue montagne partigiane. Al suo fianco c’è un palloncino colorato legato a una punta della stella. Ma non si è incagliato, è stato legato volutamente, Jvan l’ha usato per salire fino là, non più in alto, fin là. Quello era ed è il suo posto. Non sotto la stella più alta del cielo, ma quella più vicina ai suoi cari, ai suoi amici e a tutti i torinesi.
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