Iditarod. Una in fila all’altra, sono quattro sillabe mitiche, da Grande Nord americano. Racchiudono un idronimo (designano un fiume nell’Alaska centro-occidentale) e un toponimo (una cittadina fondata nei lontani anni della corsa all’oro). Ma indicano anche il nome di una delle piste che attraversano l’Alaska e che vengono utilizzate fin da tempi molto antichi per percorrere la regione. Ogni anno, a inizio marzo, in Alaska si svolge la Iditarod Trail Sled Dog Race, una competizione per slitte trainate da cani e governate da celebri musher. Una gara nella wilderness, lungo un percorso di oltre 1800 chilometri, da Anchorage a Nome.
La gara trae origine da un episodio che risale al 1925, quando un’epidemia di difterite colpì la città di Nome. Nel cuore dell’inverno, l’abitato era del tutto isolato a causa delle condizioni meteorologiche. Da Anchorage non era possibile far arrivare l’antitossina né per via aerea né con una nave, e fu necessario affidare il carico salvifico a cani e slitte. La vicenda è nota in Italia per via del film d’animazione Balto. Nella realtà Balto era il nome del cane da slitta che guidava l’ultimo dei venti team che raggiunsero Nome a soli 5 giorni dalla partenza (127 ore).
Oltre che per la sua lunghezza, il percorso dell’Iditarod è reso difficile dalle frequenti tempeste di neve che in inverno si abbattono sulla regione, portando la temperatura a diverse decine di gradi sotto lo zero. La prima edizione della competizione si svolse nel 1973. Con il passare degli anni la corsa è diventata famosa e sempre più competitiva, e oggi attrae sponsor importanti e partecipanti che arrivano da tutto il mondo. Centinaia di appassionati assistono alla cerimonia di partenza, organizzata a partire dal 1983 sulla 4th Avenue di Anchorage, la più grande città dell’Alaska. La gara, a cui partecipano una cinquantina di concorrenti con slitte trainate da mute di una dozzina cani, dura in media una decina di giorni.
Il vincitore della prima edizione impiegò circa venti giorni per terminare la corsa; oggi – grazie a una migliore preparazione dei cani e a un equipaggiamento studiato con cura – ne bastano una decina. Il percorso è suddiviso in 27 tappe, al termine delle quali i concorrenti sono obbligati a firmare un registro (ma non sono obbligati ad accamparsi). Nelle strutture di ricovero i musher lasciano i cani feriti o eccessivamente stanchi, affidandoli alle cure dei veterinari. Le soste obbligatorie sono tre: una da 24 ore e due da 8 ore, da dichiarare ed effettuare in presenza di un ufficiale di gara. Per il resto, ognuno se pianifica l’Iditarod come gli pare (i partecipanti dispongono di una fonte di illuminazione autonoma, per potersi muovere anche di notte).
Il premio. Il primo classificato vince 50 mila dollari e un pick-up (un Dodge Ram). Tantissimo. Ma sull’altro piatto della bilancia bisogna mettere le spese per l’allevamento, l’alimentazione (triplicate, a causa dell’inflazione), gli allenamenti e la cura dei cani.
L’ultima edizione. All’Iditarod 2013 si sono iscritti 66 musher: cinquanta uomini e sedici donne. Pare sia stata una delle edizioni più dure della storia della manifestazione, con sei ex vincitori e alcuni vincitori della Yukon Quest (l’altra corsa simile a questa, che si svolge in Canada a febbraio). Sono state registrate temperature assai più elevate del solito e particolarmente sfavorevoli per i cani. La gara è stata vinta da Mitch Seavey, in 9 giorni, 7 ore, 39 minuti e 56 secondi.