Dolore e furore

Capita raramente di divorare un libro di 700 pagine, denso di nomi date e note, in pochi giorni. A me è accaduto con “Dolore e furore. Una storia delle Brigate Rosse” dello storico Sergio Luzzatto, appena pubblicato da Einaudi.

Luzzatto, che insegna negli Stati Uniti, è nato a Genova, e ha scelto di partire dalla sua città per raccontare non soltanto le azioni dei terroristi che insanguinarono l’Italia, ma anche le loro radici sociali e le loro motivazioni.

Lo ha fatto attraverso la ricostruzione della vita perduta di Riccardo Dura, il brigatista che il 24 gennaio 1979 uccise a Genova il sindacalista dell’Italsider Guido Rossa, e con il suo gesto sancì il definitivo distacco delle Brigate Rosse dalla base operaia che speravano di mobilitare.

Pochi mesi dopo l’attentato che sconvolse la città Dura fu a sua volta ucciso, insieme a tre altri brigatisti, durante una irruzione dei carabinieri nel covo di via Fracchia. Inizialmente non si sapeva nemmeno chi fosse, perché durante la sua ascesa ai vertici della organizzazione non aveva lasciato tracce. Anche dopo l’identificazione ben poco era emerso su di lui, a parte la fredda determinazione che lo aveva portato a sparare a Rossa e ad altri.  

Luzzatto indaga sull’infanzia ribelle di Dura, segnata da alcuni ingiustificati ricoveri in manicomio e dagli abusi subiti durante il soggiorno obbligato su una nave riformatorio. Lo segue durante i suoi imbarchi come marinaio di bassa forza e nel servizio militare in marina. Lo ritrova a Genova, dove subisce il fascino dei profeti della rivoluzione e i compagni di lotta diventano la sua vera famiglia. 

Non c’è solo Dura nella monumentale opera di Luzzatto. Uno dopo l’altro incontriamo tutti i protagonisti di quella stagione di sangue, i carnefici, i fiancheggiatori, i magistatrati, i carabinieri guidati con metodi spicci dal generale Dalla Chiesa, i politici. E le vittime, dove spicca la figura di Rossa, cui Luzzatto aveva già dedicato il bel saggio “Giù in mezzo agli uomini. Vita e morte di Guido Rossa”. 

Luzzatto non giudica, racconta i fatti raccolti con la certosina pazienza dello storico, senza trascurare di sottolineare le cause della rabbia che portò alcuni a scegliere la strada del terrorismo. Molte delle testimonianze che ha raccolto, orali e scritte, sono di grande efficacia. E, in un loro modo perverso, sono interessanti anche le citazioni dei deliranti saggi accademici di alcuni intellettuali da quattro soldi, che teorizzarono e in alcuni casi praticarono la lotta armata. Riletti oggi non si può non restare sgomenti per il credito di cui godettero e per i danni che provocarono. 

Battista Gardoncini

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