Nel dedalo della sanità italiana

 

Un recente film-evento, “Ferrante Fever”,  ha permesso agli appassionati di Elena Ferrante, la scrittrice misteriosa italiana oggi più famosa nel mondo, di sapere cosa di lei pensano illustri colleghi, soprattutto italiani e americani: chi è andato al cinema nei tre giorni di proiezione della pellicola, segretamente sperando in qualche rivelazione, è rimasto però deluso perché il documentario nulla ha aggiunto alla potenza narrativa dei romanzi della Ferrante o all’entusiasmo dei lettori. Quindi non resta che aspettare il prossimo titolo in libreria, sempre che l’anonima non sparisca – pur non essendo mai apparsa.

Stesso effetto per il “Forum della Sostenibilità e Opportunità nel settore della salute” organizzato alla Leopolda di Firenze, che per due giorni ha offerto ai partecipanti un sogno: districarsi nel dedalo dell’organizzazione della sanità, delle conquiste tecnologiche e farmaceutiche, dei decaloghi della buona salute e trovare possibili soluzioni all’obbrobrio di servizi disomogenei sul territorio, allo spreco di risorse, già molto ridotte, e allo scarso miglioramento dello stato di benessere in alcune zone del nostro Paese.

Il sogno non s’è realizzato: l’affascinante (e per altri versi famosa) Leopolda, contenitore caleidoscopico di esperienze fruibili, apparentemente, da una platea illimitata, non ha fornito né risposte fattibili, né sintesi utili ad un possibile cambiamento, pur mettendo sul ricco piatto molte eccellenze e pluralità di temi, sedute plenarie catartiche, approfondimenti minuziosi e seminari divulgativi da grande pubblico, studenti compresi. Insomma, l’universo mondo della sanità italiana chiamato a raccontarsi e a confrontarsi non ha potuto imboccare evidenti tragitti verso indicazioni utili, tranne forse l’ormai consueto mantra del fare rete..

Per due giorni il fascino del luogo, di per sé giustificante la titanica impresa, ha portato risultati scarsi o, come potrebbero dire i fiorentini, “sciapi”nel dipanare l’aggrovigliata matassa del sistema sanitario italiano.

Le Regioni vanno ognuna per conto proprio-: si, ma ormai non si può tornare indietro né, in virtù dei risultati del referendum costituzionale, lo Stato si riprenderà qualcuna delle funzioni sacrosantamente necessarie a rimuovere le diseguaglianze macroscopiche nella cura della salute degli italiani.

Sapevamo già che un abitante della Calabria vive quattro anni di meno rispetto ad un trentino, ma come intervenire non è dato conoscere.

 I tumori femminili, altrove quasi debellati, fanno ancora tante vittime al Sud perché, semplicemente, gli screening non si ci sono: c’è qualcuno che può sostituirsi al decisore locale e commissariare questa specifica funzione? Non pare.

L’obesità, soprattutto infantile, è destinata a pesare sempre più sui bilanci delle aziende sanitarie per le sue conseguenze patologiche: al Nord il fenomeno è stabile, al Sud in forte aumento. Chi si accolla l’obbligo di intervenire sull’educazione alimentare dove serve? Nessuno.

Forse non sapevamo che l’assistenza ai cronici e agli anziani è un miraggio in alcune Regioni, mentre in altre riesce a coprire praticamente il 100/100 delle richieste. Dopo aver preso nota delle Regioni virtuose ( le solite), dobbiamo trasferirci lì da vecchi?

Magari ci sfuggiva che la percentuale di tagli cesarei, a fronte di protocolli diagnostici e terapeutici che ne vedono il calo ovunque, in Campania raggiunge picchi inaccettabili rispetto alla media: chi deve intervenire sui colpevoli ( e quasi di crimine si tratta)?

Molte le parole chiave del Forum, svoltosi indubbiamente con ricchezza di mezzi e di idee: -ricerca- sostenibilità- innovazione- digitalizzazione- futuro- nuove cure- sviluppo- cambiamento- competenze- tecnologie- -opportunità- 4.Open. Quarantaquattro dibattiti, decine di docenti, presidenti di associazioni, direttori di ASL, giornalisti di settore, amministratori di aziende medicali/farmaceutiche, esperti finanziari, coordinatori di reti, responsabili di associazioni di consumatori e cittadini hanno reso la platea più consapevole dialogando tra loro e con il pubblico ( specializzato o generico) e ipotizzando qualche prospettiva, ma il messaggio sostanzialmente lanciato è stato di impotenza e confusione, soprattutto quando si è affrontato il tema della organizzazione della sanità nel nostro Paese ed è stato confermato, ancora una volta, che manca la dimensione di sistema e le competenze spettanti alle Regioni escludono altre vie di collaborazione tra i diversi livelli che non siano la stipula di “Patti per la salute” quasi mai realizzati o fatti rispettare.

Nelle dodici sale di una location suggestiva e trasudante storia (alla pari delle OGR di Torino di cui la Leopolda fiorentina è praticamente gemella) si è assistito al trionfo della scienza – la scoperta di cure e farmaci nuovi ha migliorato la salute dei pazienti-, ma pure alla sconfitta del concetto di “salute in tutte le politiche” e di uguaglianza per i cittadini perché l’Italia è inequivocabilmente divisa in due ed alla cattiva amministrazione regionale, quando c’è, non sembra esserci rimedio.

Qualche punto fermo, negativo purtroppo, lo si è messo: per esempio sul fatto che in questa sostanziale ingiustizia il grado di efficienza di ciascun sistema sanitario lo si misura in modo incontrovertibile leggendo i dati di”fuga” dal proprio territorio verso altri per curarsi e a volte salvarsi la vita.

E non è una bella notizia sapere che c’è una sola Regione del Nord da cui si “esce” per curarsi, evidentemente meglio, altrove, ed è il Piemonte. Che invidia, dunque, per chi vive in Toscana, Veneto Emilia. E che compassione (intesa come condivisione di sofferenza) per chi invece è costretto a lunghi viaggi di ”dispiacere” se malato.

Dunque le differenze aumentano invece di diminuire, il miraggio della salute uguale per tutti resta tale e le soluzioni, almeno a livello centrale, non sembrano vicine: Leopolda appassionante dunque, ma inutile.

Mirella Calvano

 

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