Un po’ di Italia nel mondiale di scacchi

Alcuni li definiscono uno sport, altri un gioco, altri una scienza, altri ancora un’arte. Hanno tutti un po’ di ragione, e anche un po’ di torto. Perché una parte non indifferente del fascino degli scacchi consiste proprio nella impossibilità di incasellarli in una sola ben definita categoria.

Dove lo troviamo uno sport che costringe alla immobilità e al silenzio, e nonostante questo nel corso di un torneo si possono perdere anche cinque o sei chili di peso? Possiamo chiamare gioco una attività dove l’infarto è una malattia professionale e i crolli nervosi dei campioni sono all’ordine del giorno? E’  scienza una attività intellettuale che richiede una dedizione assoluta, quasi maniacale, ma non ha ricadute all’infuori del suo ambito? E’ arte  una disciplina per iniziati, che svela la sua intrinseca bellezza soltanto dopo anni di pratica  e migliaia di ore di studio, e proprio per questo non sarà mai completamente fruibile dal grande pubblico?

Soltanto una volta nella storia gli scacchi suscitarono una attenzione planetaria: nel 1972, quando l’americano Bobby Fischer sconfisse il campione del mondo sovietico Boris Spassky. Ma erano altri tempi, c’era la guerra fredda e la sfida era diventata un simbolo dello scontro tra blocchi contrapposti, tra il bene e il male. Del tutto a sproposito, come sapevano gli addetti ai lavori, visto che il sovietico Spassky era persona colta raffinata e gentile, mentre Fischer, il campione della democrazia occidentale, era uno squilibrato che odiava gli ebrei e considerava le donne esseri inferiori. Ma alla propaganda, si sa, queste cose non importavano e non importano.

La sfida che inizia oggi a Londra è meno epocale.  Vedrà di fronte il campione del mondo in carica Magnus Carlsen, 28 anni, norvegese,  e Fabiano Caruana, che è nato 26 anni fa da padre italo-americano e madre italiana e per qualche anno ha difeso i nostri colori nelle competizioni internazionali.  Ma in questo incontro  gioca con la bandiera americana perché in quel paese è nato, e lì ha trovato i munifici sponsor che gli hanno facilitato la scalata al titolo. Per i pochi che lo vedranno dal vivo e per i molti che lo seguiranno in tempo reale on-line sarà un incontro emozionante e dall’esito non scontato, al meglio delle dodici partite. C’è soltanto da sperare che non finisca come la precedente sfida mondiale, vinta da Carlsen sullo sfidante russo Karjakin negli spareggi a gioco rapido, che hanno messo a dura prova le coronarie dei giocatori e degli spettatori, ma hanno lasciato un po’ di amaro in bocca.

Da qualche anno, infatti, esistono classifiche separate per il gioco a cadenza normale, per quello rapido e per quello rapidissimo dove i giocatori hanno a disposizione  cinque minuti a testa per concludere la partita. Decidere una sfida mondiale con cadenza classica con una serie di partite a gioco rapido è un po’ come se si giocasse la finale  di Wimbledon su un tavolo da ping-pong. Ma tant’è. Anche negli scacchi, come negli altri sport, a dettar legge sono gli sponsor, più attenti alle ragioni del portafoglio che a quelle tecniche.

Del resto, se i puristi sono critici, i giocatori hanno imparato piuttosto in fretta a non lamentarsi. Da questo punto di vista Magnus Carlsen è un campione perfetto, una macchina da soldi per sé e per la famiglia, che fin da piccolissimo lo ha destinato agli scacchi, come del resto è accaduto anche a Fabiano Caruana, diventato grande maestro ad appena 14 anni. Sponsorizzato fin nelle camicie indossate durante i tornei,  Carlsen piace perché è giovane, perché è occidentale, e naturalmente perché vince un torneo dopo l’altro, mettendo in mostra una fenomenale capacità di calcolo e una  tecnica impeccabile, molto simile a quella dei computer che negli ultimi anni hanno radicalmente modificato l’approccio al gioco. Qualcuno sostiene che è l’unico in grado di giocare così perché il suo cervello è programmato per fare una cosa sola, e ne sottolinea le stranezze di comportamento e le difficoltà di relazione con il resto del mondo.  Sulla scacchiera ha una sola debolezza: la voglia di giocarsela sempre fino in fondo, anche in posizioni che molti grandi maestri considerano aride e lascerebbero per patte. Nella sfida precedente Karjakin  l’ha sfruttata alla perfezione, difendendo con tenacia molte posizioni inferiori fino quasi a fargli perdere pazienza e titolo. Vedremo se Caruana seguirà la stessa tattica, o se lo affronterà a viso aperto, confidando nella sua enciclopedica preparazione teorica, nella abilità tattica che lo rende temibile nelle posizioni a doppio taglio, e in una tenacia fuori dal comune. Al momento negli scontri diretti è in vantaggio Carlsen, ma negli ultimi tempi Caruana ha ottenuto risultati migliori.

Pronostico aperto, dunque, certificato anche dalle classifiche internazionali dove Carlsen e Caruana occupano il primo e il secondo posto. Questo però non significa che siano i migliori di tutti i tempi, come si sta cercando di far credere per esigenze di cassetta o per semplice incompetenza. Deve ancora nascere chi negli scacchi lascerà un segno più profondo di Garry Kasparov, autore di capolavori immortali perché sulla scacchiera non ha cercato soltanto i risultati, ma anche la verità.  Un altro grande campione, il sovietico Michail Botvinnik, diceva che gli scacchi sono l’arte che illustra la bellezza della logica. Kasparov, suo allievo prediletto, non ha mai dimenticato la lezione. A Carlsen e a Caruana, e più in generale alle nuove leve dello scacchismo internazionale, semplicemente, interessano di più i soldi.

Battista Gardoncini

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