Tra Inter e Juve

Ci vorrebbe uno così. Che sapeva stare di qua e di là senza essere un voltagabbana. Univa mondi lontani, quasi ostili. L’unico a metter d’accordo i tifosi di Inter e Juve. L’aveva imparato in campo a tenere insieme undici uomini e farli diventare una squadra. Si chiamava Armando Picchi. Per quelli che hanno il cuore nerazzurro è sempre il capitano di una filastrocca vincente che cominciava sartiburgnichfacchetti e finiva sempre con Corso. Per la Juve è stato l’architetto di una casa bellissima che non ha visto finire. Difensore insuperabile nella grande Inter. Allenatore a 35 anni, il più giovane della Serie A, con una Juventus romantica e solidissima che pose le basi di una stagione di vittorie. Un predestinato, stroncato troppo presto dal male che non perdona.

Il numero sei dell’Inter campione di tutto di Helenio Herrera nasce a Livorno nel 1935. Nella squadra della città labronica comincia la sua carriera, giocando mezzala, finché Mario Magnozzi, allenatore e vecchia gloria degli amaranto, non lo arretra a terzino destro. Il Livorno naviga in Serie C senza riuscire a trovare l’acuto giusto, ma il dirigente sportivo della Spal Paolo Mazza, esperto nello scovare talenti e creare plusvalenze, diremmo oggi, nota quel giovane difensore di grande carattere. Picchi rimane a Ferrara giusto una stagione, quella 1959/60, con i biancazzurri raggiunge un incredibile quinto posto, viene poi rivenduto all’Inter in cambio di 24 milioni e tre giocatori.

A Milano, sponda nerazzurra, è appena approdato Helenio Herrera, mentre Angelo Moratti è al comando già da cinque stagioni, in cui ha bruciato undici allenatori. Le annate 1960/61 e 1961/62 non portano successi, solo piazzamenti dietro Juventus e Milan, ma Moratti stavolta decide di aspettare e fa bene, perché a partire dalla stagione successiva parte il ciclo che regala ai nerazzurri tre scudetti, due Coppe Campioni e due Coppe Intercontinentali. Il campionato 1962/63 rappresenta anche la definitiva svolta nella carriera di Armando Picchi, che il mago Herrera sposta nel ruolo di libero, un modo per responsabilizzarlo, disciplinarlo e anche un po’ calmarlo, visti i suoi non idilliaci rapporti con gli arbitri. La trasformazione è completa, visto che l’ex terzino della Spal conquista addirittura i gradi da capitano nella Grande Inter. Ma la fallimentare conclusione della stagione segna anche la fine della permanenza in nerazzurro: sulla via del ritorno da Lisbona, dove l’Inter ha appena perso la Coppa dei Campioni, Picchi si sfoga, un cronista annota tutto e il giorno dopo il titolone “Picchi attacca Herrera” è il preludio al siluramento del capitano.

La dirigenza dell’Inter lo spedisce in provincia, a Varese, ma quella che suona come una punizione si rivela una grande opportunità: il livornese registra bene la difesa di una squadra che a fine campionato   si classifica ottavai, solo un punto sotto un Inter ormai a fine ciclo. Picchi adesso è titolare fisso anche in Nazionale, ma proprio in una partita valida per le qualificazioni alla fase finale degli Europei del 1968 arriva la prima tegola del destino: rottura del bacino che, dopo una ulteriore stagione fatta di vani tentativi di recupero, segna la fine del Picchi giocatore.

Il Livorno, però, è convinto che l’ex capitano dell’Inter abbia tutte le carte in regole per diventare un grande allenatore e a partire dalla 15° giornata del torneo di B 1969/70 gli affida la panchina. La salvezza arriva con molto anticipo, segue una chiamata inaspettata: Boniperti sta rifondando la Juventus, ha chiamato a fare il direttore sportivo Italo Allodi, che ha già contribuito alla Grande Inter, e ha bisogno di giocatori giovani e di un nuovo tecnico. Insieme con Capello, Causio e Bettega alla corte di Madama arriva così Armando Picchi, ma purtroppo la sua avventura in bianconero non durerà neanche lo spazio di una stagione.

Nel febbraio del ’71, in pieno svolgimento di campionato e Coppe, il tecnico livornese comincia ad accusare dei fortissimi dolori alla schiena. Sottoposto a svariati esami, le sue condizioni vanno peggiorando, tanto da costringerlo a lasciare il posto da allenatore della Juventus che viene preso dal tecnico ceco Vycpálek . Si cominciò a parlare, per Picchi, di “male incurabile”, d’un cancro alla spina dorsale, forse legato anche al tremendo infortunio subito al bacino pochi anni prima, durante una partita della nazionale. Il   grande campione livornese si spegne circondato dalle cure e dall’affetto dei suoi cari a Sanremo, dove era stato condotto in una villa nell’entroterra, tra i pini, messa a disposizione da un generoso commerciante torinese.

Era il 26 maggio del 1971 e Armando Picchi non aveva ancora compiuto 36 anni. La notizia fu divulgata soltanto l’indomani, pare per non turbare i calciatori juventini impegnati proprio quel giorno nel difficile match d’andata della finale di Coppa delle Fiere contro gli inglesi del Leeds United.

Di Picchi resta molto: la classe e la tenacia d’un calciatore granitico e fortissimo, capace di trascinare le compagini che ebbero l’onore di averlo nelle proprie fila verso importanti traguardi. E resta la bravura e l’intelligenza tattica d’un allenatore che fu, nella parte di stagione in cui guidò la Juventus, il tecnico più giovane dell’intera Serie A. Un vero uomo, un grandissimo campione, una indimenticabile e sfortunata leggenda tutta italiana.

Marco Patruno

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