Nel 1950 il Brasile nel Mondiale fatto in casa s’era inabissato nella disfatta del Maracana contro l’Uruguay. Una tragedia nazionale che mai si cancellerà. Poi era arrivato Pelé, e con O’ Rey e una Nazionale di fenomeni, tre titoli mondiali, poi un quarto nel ’94, il quinto nel 2002 e la voglia, ad un certo punto, di cacciare i fantasmi del ’50, cercando, e trovando, la strada per organizzare il Campionato del 2014. Ovviamente per vincerli.
I conti col passato, per i brasiliani, sono però un maleficio quasi inevitabile, o senza quasi. I pentacampioni del Mondo si lanciano alla conquista del “loro” mondiale. Passato senza luci, e nemmeno ombre, il girone c’è il ruvido Cile da oltrepassare: Julio Cesar, Dani Alves, Thiago Silva, Oscar, Luis Gustavo e soprattutto Neymar, sono gli uomini forti della Seleçao, e la fatica per superare i cileni solo ai rigori (4-3) è vista senza scosse. I quarti contro la Colombia (2-1) sono più agevole e la semifinale è contro la Germania di Klose, Kroos, Neuer, Khedira, Muller e del ct Loew. Una Nazionale rigenerata e che insegue il ritorno sul trono dal ’90, dalle Notti magiche. E a Belo Horizonte va in scena la semifinale più assurda della storia del calcio mondiale: il folle 7-1 dei tedeschi ai danni di brasiliani che si aggirano sul campo senza sapere perché. Segna Muller dopo 11′, poi in sei minuti (dal 23′ al 29′) le reti di Klose, Kroos, ancora Kroos e Khedira. Mezz’ora, Germania 5-Brasile 0, due gol di Schurrle nella ripresa e la rete di Oscar al 90′. Le lacrime di disperazione e vergogna e quella partita da non crederci trasformano lo stadio di Belo Horizonte nel Mineirazo, così com’era stato ribattezzato il Maracanazo nel ’50. “La più grande vergogna della storia”, dicono, è questa: dell’ 8 luglio 2014.
Il Mondiale 2010 si è chiuso col clamoroso flop del Lippi-bis: fuori dopo il primo turno. Lippi aveva già comunicato, prima dell’avventura in Sudafrica, che comunque non sarebbe rimasto sulla panchina della Nazionale, tant’è che già il 30 maggio 2010 la Federcalcio ha deciso, e annunciato, il nuovo ct: Cesare Prandelli. Il Mondiale brasiliano lo si vive inseguendo il tormentone-Balotelli: è lui l’uomo-simbolo della grande speranza azzurra, Prandelli lo pone al centro del progetto, la squadra non lo sopporta granché a causa del suo modo di essere, in campo e fuori, ogni parola in chiave-Nazionale finisce per coinvolgere il grado di maturità – immaturità di Super-Mario. Il nostro torneo comincia col botto: 2-1 all’Inghilterra, la squadra più temuta. Le altre sono Costa Rica e Uruguay. Ma proprio contro di loro accade quello che non ti aspetti. Lo 0-1 col Costa Rica è una dannazione inspiegabile, la squadra è come paralizzata e incapace di costruire palle-gol. L’atto finale del non nostro Mondiale , Italia-Uruguay 0-1, è l’immagine di un episodio sconcertante, ovvero il morso di Luis Suarez a Chiellini, un morso alla spalla del difensore italiano, lo sguardo allibito e doloroso dello juventino che mostra all’arbitro la ferita, la scena dell’attaccante che finge di aver subito una botta ai denti. L’arbitro non vede e non prende provvedimenti, la Fifa dopo 24 ore mette a punto la mega-sanzione. Suarez cancellato dal Mondiale, 4 mesi di squalifica da tutte le competizioni, stop per 9 gare internazionali con l’Uruguay. Torna in campo col Liverpool a ottobre 2014 e con la Nazionale dopo 23 mesi. Per la seconda volta consecutiva usciamo ai gironi. Arriva l’azzeramento dei vertici del calcio italiano, le dimissioni di Cesare Prandelli e a ruota del presidente della Figc Giancarlo Abete Si apre l’era Tavecchio e ahinoi impareremo a conoscerlo.
Altro flop clamoroso del mondiale è la Spagna fresca reduce da due titoli europei e uno mondiale. Nel girone con Olanda, Cile e Australia, le Furie Rosse stabiliscono un primato: dopo solo due partite sono già sicure dell’eliminazione, ed è la prima volta che accade alla squadra campione in carica. L’esordio è uno choc senza pari: Olanda-Spagna 5-1. Poi Cile-Spagna 2-0. Un crollo improvviso ed inspiegabile , o forse un senso di appagamento e sindrome da “pancia piena”, anche perché un giro a vuoto in una competizione ci può stare. Iniesta, Xavi, Busquets, Piquè,, Casillas, Sergio Ramos, continuano a spartirsi titoli con i loro club.
L’atto conclusivo è una finale già vista: Germania-Argentina. Come nell’86 (successo albiceleste) e nel ’90 (vincono i Panzer). Là c’era Maradona, qui c’è Lionel Messi che coi tedeschi ha un conto in sospeso, lo 0-4 ai quarti di finale nel Mondiale 2010. Con la Pulce, ci sono Higuain e Palacio, Mascherano e Lavezzi. La scuola tedesca è ripartita col Progetto-Duemila, mirabile cura dei settori giovanili, struttura delle Nazionali uniformate a un modello, tre mondiali, gli ultimi tre, andati di traverso per un niente nel momento decisivo. La finale di Rio è molto tesa e molto frenata. Higuain sbaglia un quasi-gol, Howedes coglie un palo, Palacio incespica sul pallone fatale, Schurrle sfiora la rete. Si va ai supplementari, si pensa ai rigori. Klose esce, coi muscoli senza energie. Entra Goetze e al 113′ compie il prodigio: dalla panchina al gol che vale il trionfo. La Germania è campione. Il quarto trionfo del calcio tedesco. La faccia di Lionel Messi, alla fine, è il ritratto della disperazione, al nuovo Maradona manca maledettamente il Mondiale per sentirsi degno dell’eredità di Diego. Russia 2018 potrebbe essere l’ultima chance per la Pulce.
Marco Patruno