La Stella Rossa di Belgrado è la prima squadra jugoslava a vincere la Coppa dei Campioni. Gli slavi approfittano della sciagurata decisione del Milan, che si autoesclude lasciando il campo a Marsiglia nei quarti di finale per lo spegnimento di alcune luci dell’impianto di illuminazione dello stadio Velodrome, e hanno la meglio in finale proprio sui francesi. Nel periodo immediatamente precedente allo scoppio del conflitto etnico che flagellerà la Jugoslavia, la Stella Rossa, si impone in Europa con una squadra ricca di giocatori talentuosi, tra i quali Savicevic, Jugovic, Mihajlovic, il promettente Prosinecki e Darko Pancev.
Dopo l’agevole passaggio del primo turno a spese degli svizzeri del Grasshoppers, i biancorossi superano i Rangers Glasgow negli ottavi e la Dinamo Dresda nei quarti, con sfida di ritorno interrotta per un fitto lancio di oggetti all’indirizzo di Prosinecki, che si accingeva a battere un corner, da parte dei tifosi della Dinamo quando la Stella Rossa era in vantaggio 2-1. La semifinale contro il Bayern è palpitante: con una grande impresa in Baviera (2-1) gli slavi ipotecano la finale, ma al Maracana di Belgrado sta per accadere l’imponderabile, a due minuti dalla fine i tedeschi conducono 2-1 e i supplementari sono dietro l’angolo quando il centravanti tedesco Wohlfarth centra il palo con il tiro che avrebbe dato la qualificazione ai bavaresi. Sul capovolgimento di fronte il libero Augenthaler combina un clamoroso pasticcio trafiggendo il proprio portiere con un incredibile autogol.
La Stella Rossa va così in finale dove trova ad aspettarla il Marsiglia di Papin e Pelé. Eliminato il Milan per i clamorosi fatti del Velodrome, i francesi sono approdati in finale con grande autorità senza rischiare mai nulla. Le premesse per una partita spettacolare ci sono tutte, vista la qualità di molti interpreti, ma a Bari va invece in scena una finale all’insegna della noia, con le squadre improntate all’unica linea tattica della cautela a ogni costo, con l’obiettivo calci di rigore in cima ai pensieri. I bomber Pancev e Papin sono ben controllati, Prosinecki e Savicevic si vedono a sprazzi con qualche accelerazione e la partita si trascina verso i rigori. Amoros, veterano del Marsiglia, si fa intercettare il primo tiro da Stojanovic che lo aveva disturbato ad arte prima del calcio. Tra gli slavi nessuno fallisce e si arriva così al penalty decisivo affidato a Pancev. Il bomber macedone non trema e trafigge un arrendevole Olmeta, che non abbozza neppure l’intervento, mandando in tripudio i tifosi della Stella Rossa.
La Stella Rossa era una squadra formidabile. Tra i tanti campioni che facevano parte di quella formazione probabilmente il migliore era Robert Prosinecki. Nato in Germania da madre serba e padre croato, tornò in patria a 10 anni finendo a giocare nelle giovanili della Dinamo Zagabria.
Arrivato alle soglie della prima squadra il fantasista incontra l’ostracismo del tecnico Miroslav Blazevic, allenatore della Croazia a Francia ’98, che non crede assolutamente nelle sue potenzialità. Indesiderato a Zagabria, Robert passa alla Stella Rossa dove Velibor Vasovic gli dà la possibilità di esprimersi ad alti livelli. Il talentuoso trequartista sfrutta a dovere questa chance diventando l’idolo dei tifosi e vincendo tre titoli, due coppe nazionali e la Coppa dei Campioni. Con la guerra e la successiva disgregazione del paese Prosinecki passa al Real Madrid nell’estate ’91 per 28 miliardi, cifra da capogiro. Per lui è l’inizio della fine: una incredibile serie di infortuni muscolari, tra cui anche alcune rotture fibrillari, lo costringono a visitare spesso le sale operatorie, minandone irreparabilmente il fisico e l’enorme talento.
Il Napoli di Maradona vincendo il suo secondo scudetto ha acquisito il diritto a partecipare alla Coppa dei Campioni, che in questa occasione può contare anche sul “solito” Milan, ammesso di diritto in qualità di detentore del trofeo. In panchina non siede più Ottavio Bianchi, ma Albertino Bigon, vincitore dello scudetto alla prima esperienza alla guida di un grande club. L’avventura in Coppa comincia in discesa contro gli ungheresi dell’Ujpest Dozsa, schiacciati al San Paolo da un grande Maradona che si issa con 108 reti sul trono dei cannonieri partenopei. Il secondo turno è però fatale ai campani, accoppiati allo Spartak Mosca, la formazione più forte fra quelle non teste di serie. Al San Paolo senza Careca il Napoli attacca, prestando però il fianco al contropiede sovietico, molto pericoloso in diverse circostanze. La partita finisce 0-0, il computo dei pali è anch’esso pari: 2-2. A Mosca il Napoli, oltre a soffrire le condizioni ambientali, neve e vento, subisce le bizze di Maradona.
Il fuoriclasse argentino alla vigilia della partenza per Mosca fa sapere che non partirà con la squadra perché «non ne ha voglia». In realtà, come solo in seguito si potrà ricostruire, deve essere alle prese con qualche imbarazzante conseguenza del vizio che gli rovinerà la carriera. Poi la crisi viene superata e il Pibe de Oro noleggia un aereo privato e parte per Mosca dove, dopo una notte in giro per la piazza Rossa, si presenta poche ore prima del match a Bigon e alla squadra chiedendo di giocare. Il tecnico rischia di perdere la faccia e preferisce perdere la partita. Bigon lo tiene in panchina fino a metà del secondo tempo, quando lo manda in campo al posto di Zola. Troppo tardi. La situazione non si sblocca, il Napoli centra un palo con Incocciati e si va ai rigori. Alla roulette è fatale l’errore di Baroni, che spedisce fuori: a nulla valgono i centri di Ferrara, Mauro e Maradona, visto che i sovietici non sbagliano un colpo. La mazzata è fatale, probabilmente a gioco lungo anche nel rapporto tra il Napoli e il suo fuoriclasse argentino.
Il Milan si presenta al via di questa edizione deciso a tentare il tris, riuscito in passato solo a Real Madrid, Ajax e Bayern Monaco. Esentati dal primo turno, i rossoneri entrano in gara negli ottavi contro il Bruges, che si rivela avversario più complicato del previsto. A San Siro non vanno oltre lo 0-0, contenuti magistralmente dai belgi e penalizzati da un arbitro, l’austriaco Forstinger, che non vede due macroscopici rigori a favore dei rossoneri. In Belgio il copione del match non cambia; il Bruges si limita a tentare di distruggere il gioco del Milan, che però stavolta trova il gol con un tiro dal limite di Carbone, sostituto di Donadoni. I belgi mettono la partita sul piano dell’agonismo e della rissa e a farne le spese è Van Basten, che reagisce alle provocazioni dei ruvidi difensori fiamminghi e viene espulso.
Nei quarti il sogno di tris europeo si infrange contro lo scoglio dell’Olympique Marsiglia. Sovrastato con le sue stesse armi, pressing asfissiante, aggressività e fuorigioco, il Milan esce dal Meazza con un pareggio 1-1 che non rende merito alla grande partita giocata dai transalpini. Il gol di Gullit arriva in apertura solo grazie a una disattenzione della retroguardia dell’OM, ma la gioia dura poco più di dieci minuti, fino a quando cioè Papin infila la linea difensiva rossonera, piuttosto smarrita per l’assenza del leader Baresi. Al Velodrome, il Milan perde la faccia e va incontro ad una delle serate, è il caso di dirlo, più buie della sua storia. Al novantesimo minuto, con il Marsiglia meritatamente in vantaggio 1-0 grazie alla rete dell’incontenibile inglese Waddle, vero mattatore della serata, il grande riflettore alla sinistra della tribuna stampa si spegne. Con la visibilità compromessa l’arbitro Karlsson decide di interrompere la partita. La situazione diventa grottesca il campo di gioco è invaso da circa duecento persone e i giocatori del Milan cercano di abbandonarlo, operazione che viene loro impedita dalla chiusura del portone che conduce alle scale dirette agli spogliatoi.
Dopo sette minuti una parte del riflettore si riaccende; la visibilità non è ottimale, ma si ha la sensazione che sia sufficiente a portare avanti la partita per i tre minuti di recupero che l’arbitro aveva intenzione di accordare. A questo punto Galliani, nelle vesti di capo delegazione vista l’assenza di Berlusconi, decide di ritirare la squadra dal campo a causa della scarsa visibilità e dell’invasione dei tifosi. Passano altri concitati minuti ma il Milan, nella persona del suo amministratore delegato, non torna sulla sua sorprendente decisione, che sembra avere tutti i crismi dell’antisportività. Si ha la sensazione che non tutti i giocatori siano d’accordo sul fatto di dover abbandonare il campo, ma alla fine eseguono l’ordine che arriva dall’”alto”. L’arbitro Karlsson, con il Milan fuori campo, non può far altro che ritenere conclusa la partita e fischia la fine.
Galliani annuncia immediatamente che la società rossonera presenterà un reclamo all’Uefa, ma il giorno dopo il presidente Berlusconi in un comunicato ufficiale dichiara che il Milan non sporgerà alcun reclamo e si scusa per l’accaduto. I rossoneri escono così dalla manifestazione che li aveva visti assoluti dominatori negli ultimi due anni e lo fanno nella peggior maniera possibile, subendo anche la sanzione Uefa che squalifica la società di via Turati per un anno dalle competizioni europee.
Marco Patruno