Per il calcio si gioisce e si piange, si esulta e si soffre, si ride e si scherza: un gol, una parata, un qualsiasi gesto atletico del nostro campione preferito sono in grado di farci emozionare al pari di una meravigliosa opera d’arte. É questa la vera magia di uno sport che raduna ad ogni sua partita centinaia di migliaia di persone, fra stadi, schermi televisivi e radio. Ma nel calcio, per il calcio, capita anche che si muoia.
Una delle morti più assurde, più oscure e grottesche è sicuramente quella di Andrés Escobar, brillante calciatore colombiano, assassinato dai suoi stessi tifosi. A causa di un autogol.
Andrés Escobar Saldarriaga nasce il 13/03/1967 a Calasanz, quartiere nord-occidentale della città di Medellín, nel cuore della Colombia andina. Il capoluogo dell’Antioquia è tragicamente noto per l’alto tasso di omicidi collegato all’espandersi del narcotraffico, soprattutto fra gli anni 70 e 80: ciononostante, il piccolo Andrés cresce serenamente.
La sua correttezza in campo e la sua sportività gli fanno ottenere il soprannome di El Caballero del Futbol (Il cavaliere del calcio): partita dopo partita, il numero 2 dell’Atlético Nacional si conquista la fiducia e l’affetto dei tifosi, emergendo come un terzino forte fisicamente ed efficace nei contrasti , una vera e propria garanzia.
Il Nacional di Medellin è protagonista di una cavalcata trionfale nella Coppa Libertadores del 1989, conclusasi con la vittoria ai calci di rigore contro l’Olimpia di Asunción. Nel dicembre dello stesso anno, solo una punizione di Chicco Evani al minuto 119 permette al Milan di sconfiggere gli ostici colombiani e di aggiudicarsi la Coppa Intercontinentale.
Con la squadra della sua città, dove concluderà la breve carriera, riesce ad aggiudicarsi anche il campionato nazionale nel 1991. Nel mezzo, l’esperienza dei Campionati del Mondo di Italia ’90, dove la Colombia viene eliminata agli ottavi di finali dai Leoni Indomabili camerunesi di Roger Milla.
C’è grande attesa attorno alla spedizione colombiana che affronterà i Campionati del Mondo di USA ’94. La Colombia ai nastri di partenza è candidata come possibile sorpresa. La squadra annovera campioni di livello assoluto come Tino Asprilla, stella del Parma dei miracoli di Nevio Scala e l’esuberante fantasista Carlos Valderrama, soprannominato il Gullit biondo. Il paese vive sempre momenti di drammatica instabilità: la guerra del narcotraffico continua a generare decine di morti ed il calcio è visto come una sorta di evasione da questa triste realtà. Il sorteggio è benevolo, inseriti nel girone con Romania, Svizzera ed i padroni di casa statunitensi. I Colombiani si complicano la vita sin dalla prima partita, quando i romeni vincono nettamente col punteggio di 3-1; questo impone ai ragazzi di coach Maturana l’obbligo di vincere le restanti gare per assicurarsi la qualificazione agli ottavi di finale. Mercoledì 22 giugno va in scena a Los Angeles il decisivo match fra gli Stati Uniti e la Colombia. Sulla carta gli ospiti sono favoriti in virtù delle loro maggiori doti tecniche, ma al minuto 35 succede l’irreparabile: John Harkes, buon centrocampista delle squadra allenata dal santone Bora Milutinovic, crossa un pallone senza troppe pretese dalla sinistra verso l’area avversaria. Escobar cerca di anticipare gli attaccanti a stelle e strisce, ma la sua scivolata ha l’esito di spingere il pallone nella propria porta, spiazzando l’incolpevole portiere Oscar Córdoba. Il giocatore è sbigottito, e la Colombia non riesce a reagire: al minuto 52 Earnie Stewart affossa definitivamente le speranze dei Colombiani, realizzando il 2-0. A nulla vale il gol di Adolfo Valencia, così come è inutile la vittoria contro la Svizzera nell’ultima partita del girone eliminatorio.
La stampa Colombiana addossa ad Andrés Escobar le maggiori responsabilità per la precoce eliminazione dai Mondiali. Rientrato a Medellín, il ragazzo cerca in tutti i modi di distrarsi, nel tentativo di scacciare i fantasmi che gli scavano l’anima.
La sera del 2 luglio decide di portare la sua ragazza all’Estadero Indio, uno dei migliori ristoranti della città. Gli altri ospiti del locale lo riconoscono subito, e qualche tifoso si avvicina per fargli capire come, nonostante il fattaccio di Los Angeles, lo storico numero 2 della nazionale sia rimasto un idolo per tutti. Andrés è più rilassato e sereno, si gode la frizzante serata della città e la compagnia della sua ragazza, ma ad un certo punto si accorge di essere fissato in continuazione da tre uomini. I due mangiano piuttosto velocemente, perché l’essere osservati così minacciosamente da sconosciuti li rende nervosi. Appena si accingono ad uscire, uno dei tre uomini, l’ex guardia giurata Humberto Muñoz Castro, si avvicina al giocatore ed esplode dodici colpi di mitraglietta verso di lui. Secondo i testimoni, il killer urla : “Grazie per l’autogol!” mentre fa fuoco. Escobar spira poco più tardi in ospedale e, con l’aiuto dei testimoni, le forze dell’ordine risalgono in breve tempo all’assassino, che nei primi istanti era riuscito ad allontanarsi.
Muñoz viene condannato inizialmente a 44 anni, salvo poi essere scarcerato nel 2005, tra le proteste di giornali e tifosi. Sul movente dell’omicidio non è mai stata fatta piena luce: si ipotizza che fosse legato a grosse perdite relative alle scommesse calcistiche, a causa della prematura eliminazione della Colombia dal Campionato del Mondo. Le indagini non hanno mai appurato la reale motivazione di questo crimine, concludendo che non c’era stato nessun piano specifico dietro l’esecuzione.
Alla memoria di Escobar è stata inaugurata una scuola calcio per i ragazzi di Medellín, in modo da offrire loro una possibilità di non cadere nel cieco tunnel della criminalità organizzata, che ha lasciato un’infinita scia di sangue nel paese andino. Ma la fama del Caballero è davvero qualcosa di eccezionale, se si pensa che ancora oggi i tifosi dell’Atlético Nacional intonano cori in suo onore.
Il ricordo di Escobar non si è mai affievolito, nonostante molte domande non abbiano trovato una risposta credibile.
Marco Patruno