Finalmente anche i maestri inglesi iscrivono la propria firma nella storia della Coppa dei Campioni. A interrompere la tradizione negativa per le squadre inglesi, nella stagione 1967-1968 è il Manchester United che sir Matt Busby aveva saputo gradualmente ricostruire dopo la tragedia di Monaco. Attorno a Bobby Charlton, miracolosamente sopravvissuto al disastro, Busby aveva assemblato una squadra che poteva contare sulla fantasia di Dennis Law e sull’imprevedibilità del genio George Best. È credenza comune che se quel 6 febbraio del 1958 il destino non avesse giocato un terribile tiro ai giocatori del Manchester, questa squadra avrebbe potuto aprire un ciclo simile a quello del Real Madrid. Il successo del 1968 ripara in qualche modo al tragico torto.
La novità di questa edizione della Coppa Campioni è che nei primi due turni si tiene conto dei gol segnati in trasferta per determinare la squadra qualificata ,in caso di somma di punteggi in parità, senza ricorrere allo spareggio. Lo United si sbarazza facilmente dei suoi primi avversari: i maltesi dell’Hibernians, gli slavi del Sarajevo e i polacchi del Gornik Zabrze. Nelle semifinali i “Red Devils” sono opposti ad un Real Madrid in declino, ma sempre temibilissimo. In Inghilterra Best regala la prima partita agli inglesi, che vanno vicini all’eliminazione al Chamartin, dove a fine primo tempo si trovano sotto 1-3. La ripresa vede la furiosa reazione del Manchester, che accorcia le distanze con Sadler e pareggia con il vecchio difensore Bill Foulkes: Bobby Charlton e compagni sono così in finale, che si giocherà a Wembley e li vedrà opposti al Benfica di Eusebio. Concetto Lo Bello dirige un match palpitante e ricco di emozioni e colpi di scena. Bobby Charlton porta in vantaggio il Manchester, ma a undici minuti dalla fine Garca pareggia e rimanda tutto ai supplementari. Busby ricarica psicologicamente i suoi, che dominano i prolungamenti e in sei minuti segnano tre reti con Best, che beffa il portiere con un gioco di prestigio e poi esita beffardamente prima di infilare, Kidd e Charlton sigillano il successo. È il trionfo della squadra di Busby, che alla fine dedicherà il meritato trionfo alla memoria dei “Busby Babes”.
Il talento più limpido di questo Manchester United è il grande George Best, genio e sregolatezza della squadra di Busby. Nato a Belfast, arriva nelle giovanili del Manchester a 15 anni, nel 1961. Due anni dopo debutta sia in prima squadra che nella Nazionale nordirlandese, grazie all’eccezionale talento: dribbling, cambi di direzione, cross, controllo di palla superbo, l’intero campionario dell’irresistibile genio. Non per niente il giocatore di tutti i tempi preferito da Pelé. Peccato che le mille tentazioni del successo ne offuschino presto la stella. Auto veloci, donne e alcool diventano gli inseparabili compagni di vita. Soprattutto la bottiglia minerà il suo fisico, tanto che a soli ventisei anni la sua carriera ad alto livello si interrompe quando strappa il contratto con il Manchester. Il 1968 è il suo anno d’oro: vince il titolo inglese, la Coppa Campioni e il Pallone d’oro. Sembra l’inizio di una carriera memorabile e invece il baratro è a un passo.
La Vecchia Signora torna a calcare i palcoscenici europei più prestigiosi dopo cinque anni. Non ci sono più Sivori e Charles, ma è una Juventus solida e competitiva con in panchina Heriberto Herrera, paraguaiano, nessuna parentela con il “mago”, beffato l’anno precedente nell’ultimo turno del campionato. L’avvio dei bianconeri è tranquillo: l’Olympiakos al primo turno e il Rapid Bucarest al secondo sono avversari abbordabili. Nei quarti di finale invece l’Eintracht di Brauschweig si dimostra avversario di ben altra pasta e i bianconeri vengono salvati da un rigore del giovane attaccante Silvino Bercellino a due minuti dal termine della partita di ritorno, che regala alla Juve una provvidenziale vittoria dopo la sconfitta patita all’andata per 3-2. Nello spareggio di Berna, la Juve prevale ancora con il minimo scarto grazie ad una rete di Magnusson, al termine di una gara dai toni agonistici accesi. La semifinale contro il Benfica è fatale ai bianconeri. Sconfitta a Lisbona, la Juve al Comunale viene infilata dal grande Eusebio e da una squadra più abituata ai grandi match.
Marco Patruno