La dodicesima edizione della Coppa dei Campioni, nella stagione 1966-1967, segna la fine del dominio latino. Dopo undici vittorie consecutive da parte di squadre spagnole, portoghesi e italiane, il calcio britannico iscrive il proprio nome nell’albo della manifestazione. Il merito è del Celtic Glasgow, plurititolato in patria con 21 titoli, ma al debutto in una competizione internazionale.
La squadra dei cattolici di Glasgow porta in Coppa Campioni le armi tipiche del gioco britannico: aggressività, furore agonistico, mischie e lunghi lanci o cross dalle fasce a cercare le torri in area. A queste caratteristiche il Celtic aggiunge l’alto tasso tecnico di giocatori come Johnstone, Chalmers, Gemmell e Lennox. La squadra acquisisce fiducia nei propri mezzi turno dopo turno, agevolata da sorteggi favorevoli. Così un po’ a sorpresa la squadra scozzese si qualifica per la finale di Lisbona, dove se la vedrà con l’Inter.
I pronostici della vigilia vedono i nerazzurri ampiamente favoriti, anche se devono scontare l’assenza di Suarez, e questa convinzione viene rinforzata dopo sei minuti, quando Mazzola trasforma un ineccepibile calcio di rigore per atterramento di Cappellini. Invece, dopo il vantaggio, i nerazzurri, vinti dal caldo torrido della capitale lusitana, cedono di schianto sul piano fisico.
Gli sforzi della stagione cominciano a pesare sul gruppo; le tre partite di semifinale con i bulgari della Cska Sofia hanno imposto un prosciugamento di energie che con l’avvento della primavera impone un pesante dazio. Gli avversari ne approfittando, cominciando a macinare il loro gioco. Craig e Gemmel, i due terzini di fascia, sono autentiche spine nel fianco della difesa interista e dai loro cross arrivano le minacce più concrete alla porta di Sarti. Il meritato pareggio viene costruito proprio dai due terzini: cross di Craig e formidabile siluro di Gemmell che trafigge l’incolpevole Sarti. I biancoverdi perfezionano poi la grande impresa a sette minuti dal termine: altro cross di Craig e stavolta è il centravanti Chalmers a mettere la palla in rete, chiudendo di fatto il ciclo della Grande Inter.
L’artefice del successo del Celtic è senza dubbio l’allenatore Jock Stein. Quando nella primavera del 1965 il presidente Robert Kelly gli affida la guida della squadra, le sorti del club cattolico di Glasgow, a digiuno di titoli da 10 stagioni, cambiano radicalmente. Inizia un lungo periodo di successi con nove campionati scozzesi vinti consecutivamente, la Coppa dei Campioni del 1967 e la finale del 1970. La sua filosofia era fondata sul duro lavoro, la disciplina e il rispetto. Lascia il Celtic nel 1978 per allenare la nazionale scozzese sulla cui panchina morirà d’infarto dopo la rete del pareggio contro il Galles il 10 settembre 1985, nelle qualificazioni ai Mondiali del Messico.
Un’Inter logora e in calo si mette nuovamente alla caccia della terza Coppa Campioni. Non c’è più Peirò sostituito da un giovane attaccante rientrato dal prestito al Genoa, Renato Cappellini capo cannoniere nerazzurro in questa edizione, e anche Jair ha visto ridursi il suo spazio per la crescita esponenziale del tornante Angelo Domenghini. Il primo turno contro la Torpedo Mosca, prima squadra sovietica a prendere parte alla Coppa dei Campioni, viene superato con l’esperienza. L’ ottavo di finale contro il Vasas Budapest è nobilitato dal primo gol di Mazzola nel ritorno a Budapest, uno dei più belli di ogni epoca, con cinque avversari scartati in un fazzoletto.
Subito dopo l’urna mette di nuovo di fronte i nerazzurri e il Real Madrid. L’Inter affronta il doppio confronto con la dovuta concentrazione. Il protagonista della sfida è proprio il pupillo di Herrera, Cappellini, che segna la rete della vittoria a San Siro e una delle due dello storico successo al Chamartin.
Durissima anche la semifinale con il CSKA Sofia, partito dal turno preliminare. Dopo due pareggi 1-1 l’Inter si impone ancora con Cappellini, che si erge a eroe nerazzurro di questa edizione, nella “bella” giocata a Bologna.La finale segna l’inizio della fine per la Grande Inter, che pochi giorni dopo perderà lo scudetto, già vinto in pratica, a Mantova e uscirà dalla Coppa Italia in semifinale
Marco Patruno