Al Marsiglia la prima Champions League.

Nella stagione 1992-1993 inizia ufficialmente l’era della  Champions League. Dopo l’esperimento nell’edizione precedente, l’Uefa battezza in questo modo il mini-torneo di semifinale, con le otto squadre rimaste in lizza divise in due raggruppamenti. Dopo quelli di Stella Rossa e Barcellona si registra un nuovo esordio nell’albo d’oro della manifestazione: quello del Marsiglia, che trionfa nella finale contro il Milan e porta per la prima volta una coppa europea in Francia.

La squadra di Raymond Goethals ha vita facile nei primi due turni, contro Glentoran e Dinamo Bucarest, qualificandosi per i gironi di semifinale senza grossi patemi.

Al secondo turno il Barcellona campione in carica saluta la compagnia sconfitto in casa dal CSKA Mosca 2-3. Nel girone di semifinale il Marsiglia si ritrova accoppiato a Bruges, CSKA Mosca e Rangers Glasgow. Nella prima partita i francesi vanno vicini all’impresa a Ibrox Park, la tana dei Rangers. In vantaggio 2-0 si fanno rimontare nel finale dagli scozzesi, che in quattro minuti mettono a segno le reti del 2-2 finale. Il Marsiglia supera poi il Bruges e conclude l’andata con un pareggio a Mosca.

Nell’altro gruppo il Milan è un rullo compressore, che ha vinto tutti gli incontri disputati in questa edizione ed è già con un piede e mezzo a Monaco. Con la tennistica affermazione 6 a 0 dei francesi sul CSKA e la contemporanea vittoria dei Rangers sul Bruges, diventa chiaro che saranno gli scozzesi gli avversari più pericolosi del Marsiglia verso la finale. Il pari nello scontro diretto del Velodrome non emette alcun verdetto. Tutto è rinviato all’ultima giornata, cui il Marsiglia giunge con una differenza reti favorevole rispetto agli scozzesi. A Bruges Boksic, centravanti rivelazione dell’annata, dopo due minuti sblocca il risultato e il Marsiglia vive di rendita su questo gol per tutta la gara.

Il match inizia con la fresca polemica di Gullit, escluso da Capello pochi minuti prima del via, e con il Milan che assume subito il controllo delle operazioni. Non sembra però lo squadrone tritatutto di inizio stagione e pian piano il Marsiglia esce dal guscio. Vittime del turn-over teorizzato dallo stesso Capello, con giocatori come Donadoni schierati a singhiozzo e ora incapaci di trovare il ritmo partita, senza il miglior Van Basten e con il jolly Massaro, sostituto di Gullit, che si mangia tre gol quasi fatti in avvio, i rossoneri prestano il fianco ai ficcanti contrattacchi francesi guidati da un Abedì Pelé incontenibile. Sul finire del primo tempo il ghanense batte un corner da destra, sul quale Boli svetta più in alto di Rijkaard e batte Rossi. Il Milan è frastornato; avrebbe tutta la ripresa per recuperare, ma è vittima delle proprie contraddizioni e neppure l’ingresso dell’ex Papin, centravanti anch’egli abbastanza polemico con Capello, cambia il corso del match. E alla fine c’è delusione in casa rossonera, per l’occasione perduta.

Abedi Pelé dopo ogni prestazione deludente deve aver provato sulla propria pelle quanto sia difficile sostenere il peso di un nome così ingombrante. Nome affittatogli in Ghana quando ancora era un bambino conosciuto come Abedi Ayew. È proprio lui a raccontare la sua storia: “Quando ero bambino, con il pallone fra i piedi facevo quello che volevo. Ero bravo, insomma. Nel Ghana si lavora molto di fantasia, per cui già quando avevo sette-otto anni un po’ tutti cominciarono a chiamarmi Pelé esattamente come il mitico “O Rey”, che in quegli anni era al massimo della popolarità“. Da allora cominciò ad essere Abedi Pelé. Dopo aver girato mezza Africa, nel 1986 arriva la chiamata francese dal Niort con il quale debutta nella B transalpina.Passa poi al Mulhouse, brevemente al Marsiglia, al Lilla e di nuovo al Marsiglia nel 1990 per la consacrazione definitiva. Con l’OM vince 3 titoli di Francia e la Coppa dei Campioni nella finale contro il Milan, che subisce per tutto il match la verve del fantasista africano. Grande talento naturale, un po’ discontinuo, ha in parte fallito l’avventura italiana con il Torino. In carriera ha vinto tre Palloni d’Oro africani.

Scontata la squalifica di un anno dalle competizioni europee, il Milan si ripresenta sul palcoscenico della Coppa Campioni con l’intenzione di ricostruirsi un’immagine positiva e di ripristinare il suo dominio su questa manifestazione. Lo fa con Fabio Capello in panchina e con una rosa di 24-25 giocatori in onore alla filosofia del turn-over, che sta sempre più prendendo piede. L’acquisto estivo più rumoroso è quello di Lentini, strappato alla Juve. Raggiungono Milanello anche Papin, Savicevic, Boban, Eranio e De Napoli.

I primi due turni sono solo tappe di trasferimento verso il girone di semifinale in cui avversari del “Diavolo” saranno Psv Eindhoven, Porto e Göteborg. Il debutto contro il Göteborg a San Siro è una vetrina per Marco Van Basten, che frantuma il muro difensivo svedese con quattro splendide reti, soprattutto la prima segnata mentre un avversario lo trascina a terra e la terza in rovesciata. Con la successiva affermazione a Eindhoven, nonostante i mugugni di Gullit mortificato dal turn-over, il Milan chiarisce che il primo posto nel girone è già prenotato. In Olanda i rossoneri giocano una superba partita di grande spessore e dominano in maniera a tratti imbarazzante per gli avversari.

La marcia trionfale prosegue a Oporto, acuto di Papin che fa le veci di Van Basten le cui caviglie mandano segnali preoccupanti, e a San Siro sempre contro i lusitani che sono piegati dal “Milan 2”. Qualcosa però si è rotto nella squadra di Capello, che ha perso la brillantezza dei mesi passati, anche a causa della caterva di infortuni che ha colpito la rosa. Ormai il Milan vince quasi per inerzia, non incanta più come in inverno ma la difesa è imperforabile e basta qualche rara fiammata nel corso dell’incontro per portare a casa l’intera posta. 

La partita, che sulla carta vedeva il Milan strafavorito, inizia con una strana sensazione di sfiducia nell’ambiente rossonero. Tutti i malumori suscitati dal turn-over e la mancanza di un undici base cui affidarsi nei momenti decisivi vengono a galla nella circostanza più importante. Il gol di Boli è una mazzata per il morale del Milan che non riesce a più a recuperare. Van Basten non è al meglio, Massaro alimenta rimpianti per l’esclusione di Gullit, mentre Lentini, molto rinforzato muscolarmente, sembra aver perso l’agilità dei bei giorni passati. La coppa delle contraddizioni prende la via della Francia.

Una vittoria pagata a caro prezzo, perché pochi mesi dopo verrà alla luce un caso di corruzione in una gara di campionato che priverà i marsigliesi del titolo nazionale e li costringerà alla retrocessione a tavolino e alla squalifica internazionale. “Quella è stata personalmente l’unica occasione in cui ho accettato di prendere un prodotto. Ci fu una seduta obbligatoria di punture, a cui si rifiutò di partecipare soltanto Rudi Voeller. Durante la partita il mio fisico rispondeva in modo differente sotto sforzo. Sono pentito: una vittoria, per quanto prestigiosa, non giustifica il fatto che tu metta in pericolo la tua vita”.  Jean Jacques Eydelie, centrocampista del Marsiglia dal 1988 al 1993, raccontò così a Repubblica i retroscena di quella partita. E in un suo libro andò oltre, aggiungendo altre esperienze vissute sui campi d’oltralpe: In tutte le squadre in cui ho giocato – scrisse – ho visto situazioni di doping, tranne che a Bastia». Un tassello che si aggiunge ai tanti altri misteri che fecero da cornice a una partita che rimane “mitica”, almeno nell’immaginario di molti appassionati, anche solo per il fatto che fu la prima finale della Champions League della storia.

Marco Patruno

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