l mondo del calcio piange il «Mondo», Emiliano Mondonico. L’allenatore di Rivolta d’Adda si è spento questa mattina a Milano, a 71 anni appena compiuti, sconfitto dal cancro, che lui chiamava “bestia”, e che per anni era riuscito a fermare con grande coraggio, come i suoi rocciosi difensori fermavano gli attaccanti avversari. Resterà per sempre il ricordo di un uomo vero, una figura di tempi che sembrano irrimediabilmente andati. Un maestro di calcio, un uomo pieno di passione e al tempo stesso di candore.
Mondonico viene ricordato da tutti per le imprese fatte con delle squadre considerate da tutti degli outsider. Prima di tutto la Cremonese, che nel 1984 riportò in serie A dopo 54 anni. Poi l’Atalanta, che da neopromossa nel 1988 accompagnerà fino ad una straordinaria semifinale di Coppa delle Coppe. E poi il Torino che porterà in finale di Coppa Uefa. Proprio nell’occasione della partita di Amsterdam impugnando e alzando una sedia per inveire diede vita ad una delle immagini più iconiche del calcio italiano.
Quella sedia alzata al cielo è diventato uno dei simboli del Toro. Quella finale maledetta, quella coppa persa senza perdere la partita, quel gesto di rabbia, di orgoglio, di maledizione verso gli dei del calcio.
Ad Amsterdam il 13 maggio 1992, il Toro, si giocava la conquista della coppa Uefa contro l’Ajax, che in casa dei granata aveva strappato un 2-2. Una partita a senso unico. Il Toro attaccò a testa bassa e colpì tre pali, uno dei quali allo scadere. Tra un legno e l’altro un fallo su Cravero che sarebbe stato rigore. Sarebbe stato, perché l’arbitro non fischiò. E a quel punto quella sedia proiettata verso il cielo olandese , un gesto istintivo diventato patrimonio del dna granata, un concentrato di rabbia e tremendismo allo stesso tempo.
Quella finale persa è un trofeo al contrario, che si aggiunge a uno vero, la coppa Italia, vinta un anno dopo rocambolescamente battendo la Roma. Dopo un 3-0 in casa che dava tranquillità, all’Olimpico finì 5-2 con tre gol su rigore per i giallorossi. La beffa fu evitata per un soffio.
Quel Torino dei primi anni ’90 è stato uno degli ultimi, se non l’ultimo, nel quale ogni tifoso granata si è identificato. Una squadra che rispecchiava il carattere del «Mondo», schietto e sincero, testardo e battagliero. Un Toro che carburava a vino rosso e pane e salame. Un Toro che ora non sembra esserci più e che proprio oggi ha perso uno dei simboli della sua storia.
Marco Patruno