Faceva un gran caldo a Zagabria quel 13 maggio 1990. Non per le condizioni climatiche, considerata la tenue primavera balcanica, ma per la tensione elettrica che attraversava la città. Nel primo pomeriggio era in programma la “grande classica” del campionato jugoslavo: Dinamo Zagabria – Stella Rossa Belgrado.
Il maresciallo Tito, che con le buone o con le cattive aveva costruito la Jugoslavia unita dopo la Seconda Guerra mondiale, era morto da dieci anni esatti. Le repubbliche federate erano scosse da fermenti nazionalisti e le squadre simbolo delle capitali di Croazia e Serbia, quel giorno, rappresentavano molto di più della rivalità calcistica per i tifosi sugli spalti dello stadio Maksimir.
In Croazia, il 7 maggio 1990, si erano tenute le prime elezioni libere del dopoguerra e la vittoria era andata ai nazionalisti guidati da Tudjman. Il calcio è uno specchio della società e la partita, pochi giorni dopo il voto, diventa un’occasione per i tifosi croati di dare sfogo alle loro ambizioni indipendentiste contro il simbolo calcistico di Belgado: la Stella Rossa. Il capo degli ultras belgradesi è un certo Zeljko Raznatovic. Un poco di buono che alla testa dei suoi fedelissimi, che ama chiamare Tigri, parte alla volta di Zagabria. Solo dopo diventerà noto in tutto il mondo con il suo nome di battaglia: il comandante Arkan.
Questo “gentiluomo”, finito assassinato a Belgrado nel 2000, in un’intervista rilasciata nel 1994, ricorda così quel giorno: “Avevo previsto la guerra proprio dopo quella partita a Zagabria”. Forse perché era parte lui stesso del meccanismo micidiale, nutrito di falsi sentimenti patriottici e di interessi illegali, che si scatenò nella ex Jugoslavia all’inizio degli anni Novanta.
Ventimila spettatori riempiono lo stadio un’ora prima della partita. La scintilla scoppia intorno alle 18. I tifosi della Stella Rossa, alcune centinaia, iniziano a distruggere i grandi pannelli della pubblicità alle loro spalle e a staccare i sedili di plastica per lanciarli sulle tribune vicine dove c’erano i tifosi della Dinamo. Sembra che pochi minuti prima fossero volati sassi in loro direzione. Dopo aver superato una ringhiera si scontrano con un piccolo gruppo di tifosi della Dinamo picchiandoli selvaggiamente. Vanno avanti per una quindicina di minuti senza che la polizia intervenga.
A questo punto la rabbia e la violenza scoppiano sulle tribune Nord. I tifosi della Dinamo, sfondano la ringhiera per scendere in campo. Alcune centinaia di poliziotti si lanciano contro di loro per fermarli. Ai tifosi che lanciano sassi e pezzi di cemento divelti dalle tribune rispondono con manganellate, pugni e calci. Nel frattempo entrano in campo i giocatori delle due squadre e nella rissa entrano alcuni della Dinamo. La partita è naturalmente sospesa ed esplode la battaglia: sul campo vengono mandati i mezzi dei pompieri che con getti d’acqua tentano di disperdere i tifosi della Dinamo.
Numerosi lacrimogeni vengono sparati sulle tribune Nord. Nel frattempo le drammatiche scene sono state riprese dalla tv di Zagabria che mandano in onda il filmato per alcune ore.
In campo c’è anche Zvonimir Boban. Anche se ha solo 21 anni è il capitano della Dinamo, la stella, che davanti a lui avrà una brillante carriera in Italia. Egli si butta nella mischia: ”Non ci vidi più. Mi avventai su un poliziotto e gli gridai: Vergognatevi. State massacrando dei ragazzi.” raccontò il giocatore. Lui mi colpì due volte urlando: “Brutto figlio di puttana. Sei come tutti gli altri!” A quel punto ebbi una reazione d’istinto. Gli fratturai la mascella con una ginocchiata“.
Alla fine la calma tornò allo stadio, con un bilancio di più di cento feriti. Tutti i media parlarono solo di teppisti allo stadio, ma era evidente la strumentalizzazione che avveniva ormai in tutta la Jugoslavia da parte dei circoli nazionalisti.
Il 25 giugno 1991 Slovenia e Croazia dichiararono la loro indipendenza, innescando un conflitto sanguinoso che portò alla scomparsa della ex-Jugoslavia. Gli incidenti del 13 maggio 1990 divennero un simbolo, tanto che alcuni ritennero di buon gusto ergere un monumento di fronte allo stadio di Zagabria con una targa che recitava: “Ai sostenitori della squadra che sui questo terreno iniziarono la guerra contro la Serbia il 13 maggio 1990”.
Dalla guerra del 1991, oltre che sull’intera ex-Jugoslavia, una lunga notte calò anche sul suo calcio. E si dovette attendere il 18 agosto 1999 per poter rivedere assieme in campo le formazioni serbe e croate, Al Marakana di Belgrado, la prima sfida tra Jugoslavia e Croazia per le eliminatorie di Euro 2000. Sugli animi spenti da quasi cinque anni di conflitto sanguinoso la calma prevalse sulla violenza.
Marco Patruno