In tempi di pandemia i vaccini dovrebbero essere considerati un “bene comune” come l’aria e l’acqua, a disposizione di tutti senza discriminazioni. Parrebbe una cosa ovvia ma non lo è. Qualche settimana fa abbiamo riferito di una proposta che andava in questo senso, presentata per ben tre volte da India e Sudafrica alla WTO, l’organizzazione mondiale del commercio. E abbiamo ricordato che per tre volte, nonostante l’appoggio di molti altri paesi, l’idea di sospendere i diritti per la proprietà intellettuale in modo di favorire la produzione di vaccini a basso costo è stata bocciata dalla fiera opposizione di Stati Uniti, Unione Europea, Giappone, e altri paesi “avanzati”. Guarda caso quelli dove i vaccini stanno già arrivando e ci sono i soldi per comperarli.
Adesso, però, qualcosa si sta muovendo anche in Occidente. Le difficoltà che le multinazionali del farmaco stanno incontrando per rispettare gli accordi di equa distribuzione hanno portato l’argomento al centro del forum economico mondiale di Davos, dove la presidente della commissione europea Ursula Von der Leyen ha invitato le aziende al rispetto degli accordi, e ha esplicitamente ricordato che i vaccini sono stati realizzati grazie ad enormi investimenti di denaro pubblico finalizzati a renderli un “bene comune globale”. Parole pesanti, che non sono passate inosservate.
La parola d’ordine dei vaccini come “beni comuni” è anche al centro di molte iniziative dal basso. In Italia è stata lanciata una petizione su Change.org per chiedere al governo di mutare il suo atteggiamento di chiusura nei confronti della proposta di India e Sudafrica. “Vaccino bene comune” è stata promossa da Nicoletta Dentico, direttrice del programma di salute globale, e dai parlamentari di Sinistra Italiana Loredana De Petris e Nicola Fratoianni, e ha raccolto oltre 30.000 firme, tra cui molti scienziati e operatori sanitari impegnati nel combattere la pandemia. Crediamo valga la pena di aggiungere la nostra.