Ho seguito con grande apprensione, come tutti, quello che è accaduto a Washington l’altro giorno. Un assalto in massa a un parlamento impegnato a ratificare l’elezione del nuovo presidente, fomentato dal presidente uscente, non è cosa di tutti i giorni, soprattutto quando accade in quella che viene considerata la più grande democrazia occidentale. I commenti si sono sprecati, e mi sembra inutile aggiungere il mio. Dunque non parlerò qui degli Stati Uniti, dell’ignobile comportamento di Trump e della follia dei suoi seguaci. Voglio invece soffermarmi su alcune argomentazioni care ai commentatori di casa nostra, che a mio parere raccontano molto di noi e della nostra strana idea della democrazia, ma sono quasi del tutto assenti nel dibattito sui media americani.
Oltreoceano si discute della possibilità di rimuovere anzitempo il presidente uscente, i vertici della polizia vengono costretti alle dimissioni e i manifestanti che hanno invaso il congresso finiscono in prigione con poche possibilità di uscirne presto. Noi invece siamo preoccupati per le divisioni della società americana, adombriamo il rischio che Trump sotto inchiesta possa diventare un martire per una parte del paese, invitiamo Biden alla cautela e lo esortiamo a operare per la ricomposizione dei contrasti.
Negli Stati Uniti chi sbaglia paga, e in fretta. Noi, appassionati dei massimi sistemi, siamo maestri nel prendere tempo, e non ci rendiamo conto che i nostri sofismi, invece di difendere lo stato di diritto, lo indeboliscono. Che dire ad esempio di alcuni aspiranti azzeccagarbugli che hanno criticato la decisione dei social di cacciare Trump dalle loro pagine perché è “una inaccettabile censura”?
La democrazia non è un valore in sé. Per dirla come Churchill, è un pessimo sistema di governo ad eccezione di tutti quelli che l’hanno preceduta, e si giustifica soltanto se è in grado di prendere decisioni dure e vincolanti per tutti nei momenti difficili. Biden sa che nel paese degli sceriffi e dello spoil system qualsiasi esitazione sarebbe considerata una debolezza, e non se la può permettere. E lo sa anche Trump, che infatti starebbe contemplando l’idea di autoconcedersi una grazia preventiva per tutti i guai che ha combinato da presidente e prima ancora di diventarlo. Evidentemente non è convinto che il fatto di rappresentare i sentimenti di una parte consistente dell’America profonda, così spesso citato a sproposito dai nostri commentatori, lo possa proteggere a lungo dai rigori della legge.
Gli Stati Uniti hanno tanti difetti, ma sono profondamente pragmatici: chi vince governa. Quattro anni fa i repubblicani hanno vinto e tutto il paese si è uniformato all’ottusa visione del mondo di un tycoon megalomane. Ora tocca ai democratici. Lo faranno in modo forse più elegante, ma saranno altrettanto determinati nell’imporre le proprie priorità e nel perseguire i propri obiettivi. Giusto o sbagliato, è così che si governa, anche se in Italia ancora non lo abbiamo capito.
Battista Gardoncini