Robe di sinistra, atto terzo

“Robe di sinistra” torna in campo. Domani mattina alle 9.30, all’Unione Culturale di Torino, è in programma il terzo appuntamento organizzato da un gruppo di autoconvocati della sinistra torinese, nato con l’intento di riaprire le discussione sui temi dell’attualità politica, dando voce agli scontenti e ai delusi  di questa difficile stagione politica. Il tema è quello della difesa della costituzione, sotto attacco da parte della destra decisa ad imporre a colpi di maggioranza una svolta in senso presidenzialista che ad avviso dei promotori non risolverebbe i problemi, ma ne aprirebbe di nuovi.

“Robe di sinistra” non è e non vuole essere un ennesimo partito o partitino, ma non per questo rinuncia ad una sua identità. Nel primo incontro, subito dopo la sconfitta elettorale di settembre, era stato sottolineato che le difficoltà della sinistra non erano il frutto di uno sbandamento momentaneo, ma affondavano le radici negli errori del passato, che avevano allontanato gli elettori di riferimento dal PD e dagli altri partiti della variegata galassia della sinistra. Come avevano sottolineato molti degli intervenuti, non si perdono milioni di elettori per gli errori dei singoli, per quanto gravi. E’ proprio alle scelte strategiche fondamentali che  una sinistra degna di questo nome dovrebbe mettere mano, se vuole presentarsi ai prossimi appuntamenti elettorali con la speranza di vincere.

Nel secondo incontro, organizzato subito dopo la sorprendente vittoria di Elly Schlein nelle primarie del PD, si era cercato di capire quanto di sostanziale vi fosse nella sua elezione alla segreteria del partito, e quali difficoltà avrebbe dovuto affrontare lungo la strada di un vero rinnovamento del partito.

L’incontro di domani è più specifico, e riguarda l’atteggiamento da tenere nei prossimi mesi sulla delicata questione delle riforme istituzionali. È per questo che al dibattito sono stati invitati anche alcuni rappresentanti dei partiti oggi all’opposizione, dal PD ai Cinque Stelle al’Alleanza Verdi-Sinistra, ed è previsto un intervento registrato di Aldo Tortorella, presidente della Associazione per il rinnovamento della sinistra. L’introduzione dei lavori è stata affidata al costituzionalista Mario Dogliani. 

Come premessa al dibattito, riportiamo qui alcune parti della riflessione che si è svolta all’interno di “Robe di sinistra”.

IL MITO INFAUSTO DELL’ELETTO DIRETTAMENTE…

Nel diffuso parlare di presidenzialismo, più che una proposta di assetto istituzionale, c’è un aspetto che attiene alla formazione del senso comune, anche detto spesso impropriamente “egemonia culturale”: si intende accreditare l’opinione che la democrazia è un freno al buon operare e che serve pertanto, per l’efficacia del governo, “un uomo solo al comando”. Questo germe è stato introdotto nell’opinione diffusa con la personalizzazione della politica, dopo la crisi dei partiti travolti da tangentopoli, col discredito delle istituzioni rappresentative e, in una parola, della politica. E’ mancato un segnale d’allarme da parte della sinistra che ha condiviso le nuove forme della politica: la “governabilità” legata ad un nome, la dipendenza degli eletti dallo stesso, sacrificando rappresentanza generale per consegnare ogni decisione nelle mani dei vertici politici e istituzionali.

Questi cedimenti hanno favorito lo scivolamento elettorale verso la destra, ormai da decenni, fino alla destra attuale con venature neofasciste.

In questo momento il presidenzialismo, più che un progetto istituzionale, viene usato come una clava per introdurre una rottura nella storia della nostra Repubblica, cancellando la sua matrice fondata sulla alternativa tra fascismo e antifascismo.

Il tentativo è di collocare entrambi fuori dal presente in una equiparazione che si estende poi anche ai binomi nazismo-comunismo, destra e sinistra, tutti da seppellire nel secolo scorso.

Non dobbiamo trascurare il fatto che l’Italia ha alle spalle una storia particolare, che ha visto crescere nella società degli anni ’20 il bisogno di consegnarsi ad una guida, volendo “credere” e “obbedire” con delega totale. Né dobbiamo scordare che dopo la Liberazione i germi di fascismo si sono ricostituiti, rendendo la costruzione della democrazia un’impresa difficile, affidata perlopiù alla sinistra, alle lotte dei lavoratori, ai sindacati che, richiamandosi alla Costituzione, l’hanno conservata, fatta crescere e difesa da terrorismi e congiure nere.

La società italiana è ora iper-divisa e frammentata: Non più per fratture politiche, ma per reazione alla paura. La paura di non trovare un lavoro, la paura di non poter fruire di un trattamento pensionistico, la paura di essere espulsi dal sistema produttivo a causa dell’espandersi irresistibile dell’automazione, la paura di non poter contare sul servizio sanitario pubblico…e poi le paure di sempre dei “poveri”.

La paura dovrebbe produrre solidarietà e forza, ma invece oggi diventa un fattore di ulteriore chiusura individualistica.

Le proposte di incardinare il sistema politico-costituzionale su una “elezione diretta” pensano di poter ricondurre il vortice acefalo di pressioni, tipico della società italiana di oggi, a una domanda politica razionale solo perché semplificano il loro ricevitore.

Il rischio è che si verifichi invece proprio il contrario: che eliminato anche quel minimo di rappresentanza che è oggi realizzato dal sistema partiti/parlamento, la società esploda in una miriade di conflitti ingovernabili.

Difendere il parlamentarismo oggi significa sfatare il mito dell’ “eletto dal popolo” che porta stabilità e unità, ed evidenziare il rischio dell’innesco di una esplosione sociale.

Va svelato, dietro l’apparente disponibilità della presidente Meloni a trovare qualche condivisione, la volontà di mordere il più ampiamente possibile nella carne viva della società, affermando un principio: la consegna della sovranità nelle mani di uno solo come vero e profondo superamento dell’antifascismo e apertura della fase autocratica.

Questo governo sta procedendo, con alcuni provvedimenti, a intaccare alcuni dei principi fondamentali della carta costituzionale che attengono ai diritti primari della persona, ma per farlo ha bisogno di dominare il senso comune, di interpretarlo e generarlo. Non è folclore l’imposizione di un linguaggio: sovranità, natalità, merito, etnia, nazione.

Rinominare le cose significa cambiare il significato ai diritti, alle libertà, ai rapporti sociali.

Questa operazione è più forte della costruzione del consenso, che di questi tempi è molto volatile. E’ l’imposizione di una cultura e di un controllo sociale alternativo alla tradizione liberale e democratica della nostra Repubblica.

Siamo dunque di fronte ad una offensiva ampia, ad un progetto che la Presidente del Consiglio sta perseguendo con chiarezza e forza.

Che fare allora? Il presidenzialismo va respinto su tutti i fronti della sua valenza, quello istituzionale e quello simbolico, e il nostro no deve essere diretto e sicuro.

Il problema non è rafforzare il governo (che oggi in Italia ha più potere del Presidente degli USA), ma rendere il Presidente del Consiglio più autorevole nei confronti della coalizione, facendolo eleggere dal Parlamento e dandogli la responsabilità di revocare i Ministri; irrobustire la razionalizzazione prevedendo lo scioglimento automatico delle Camere in caso di crisi extraparlamentari. E ridare dignità culturale alla legge (di cui oggi molti cantano la detronizzazione: the end of law) anche abolendo quello sconcio che sono diventati i decreti-legge.

Questi meccanismi di razionalizzazione, previsti dai costituenti e mai attivati, possono ora essere elemento di stabilità per il Parlamento e il ristabilimento delle sue funzioni. Contro le degenerazioni, oltre che freno alla deflagrazione sociale.

Sono misure che devono essere accompagnate da un più ampio sforzo di risanamento della politica, ma sono un pezzo della ricostruzione della rappresentanza e del parlamentarismo. Nella confusione delle proposte (presidenzialismo, premierato, eliminazione del secondo turno nei Comuni, elezione diretta) occorre una posizione nella a difesa della Costituzione e della nostra democrazia.

Mostri se ne sono già creati, come la legge elettorale.

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