Perdere non è bello, soprattutto quando non stimi quelli che vincono. Però in democrazia va messo in conto, e agli sconfitti non resta che prepararsi per la volta dopo, che in Italia non arriva quasi mai a scadenza naturale. Chi può dire oggi come si rifletteranno sulla coesione dei vincitori le difficoltà dell’ inverno di guerra che ci aspetta? Prepararsi significa soprattutto riflettere sui propri errori, che in questo caso non sono stati tattici, come molti commentatori interessati vorrebbero farci credere, ma strategici.
Non è vero che il PD – pur sempre l’azionista di maggioranza del centro sinistra italiano – si è ritrovato in braghe di tela perché Letta non si è alleato con i Cinque Stelle e Calenda. Certo, se lo avesse fatto, le dimensioni della sconfitta sarebbero state minori. Sempre di sconfitta però si sarebbe trattato, perché la storia elettorale italiana è piena di fusioni a freddo tra partiti che non hanno avuto come risultato la somma delle componenti. Non è affatto detto, ad esempio, che l’ottimo 15% ottenuto dai Cinque Stelle di Conte sarebbe stato tale nell’ambito di un campo largo progressista, mentre la presenza di due squallidi personaggi come Calenda e il suo sodale Renzi, lungi dall’essere un valore aggiunto, sarebbe stata probabilmente una palla al piede per ogni tipo di coalizione.
Il motivo vero della sconfitta sono le grandi questioni non affrontate dal centro sinistra in politica interna ed estera.
l’Italia – aveva spiegato qualche giorno fa su queste pagine l’economista Guido Ortona – è il paese dove il 7% degli abitanti vive in povertà assoluta, mentre nel 2006 erano solo il 2,9%. Inoltre il 45,3% delle famiglie fa ricorso ai risparmi per arrivare a fine mese, e solo il 35,3% non ha difficoltà a farlo. Fra chi deve pagare un mutuo, il 43% ha difficoltà a stare al passo con le scadenze, e lo stesso vale per il 46% di coloro che devono pagare un affitto. Il 35,7% delle famiglie ha chiesto un aiuto economico a parenti o amici, il 13% degli intervistati è tornato a vivere con genitori o suoceri. Fra chi necessita dell’aiuto di una badante, il 31,6% ha dovuto farne a meno. Fra coloro che durante la pandemia sono tornati nella regione d’origine, il 28,8% ha dovuto farlo per mancanza di lavoro.
Dati drammatici che sono stati costantemente ignorati da un centro-sinistra troppo preso dalle sue beghe interne, e che sono destinati a peggiorare drasticamente in autunno, con l’incancrenirsi della guerra in Ucraina. E qui si arriva alle dolenti note della politica estera, dove la decisione del PD di sposare senza se e senza ma la linea filo-atlantista di Mario Draghi si è scontrata non soltanto con il buonsenso – pensiamo agli effetti delle sanzioni anti-Putin sulla nostra economia – ma anche con l’opinione della maggioranza degli italiani, contrari all’invio delle armi all’Ucraina.
Anche se i giornali non lo scrivono, per effetto di questa decisione l’Italia è diventata un paese belligerante e ha rinunciato a qualsiasi possibilità di svolgere un ruolo di mediazione in un conflitto che rischia di diventare mondiale e addirittura nucleare. Un conflitto provocato da Putin – nessuno lo mette in dubbio – ma cinicamente sfruttato da Stati Uniti e Gran Bretagna per indebolire la Russia, e per mandare in frantumi il faticoso processo di costruzione di una Europa unita e autonoma. Il fatto che il presidente della commissione europea Ursula Von der Leyen abbia scelto di vestirsi con il giallo e il blu dei colori ucraini non è soltanto una questione di cattivo gusto: nasconde una preoccupante miopia politica comprensibile per una chiacchierata baronessa troppo amica dei commercianti di armi, meno per un partito come il PD, erede spurio di una grande tradizione politica europeista.
Trovare risposte a problemi così complessi non è ovviamente facile. Ma la scorciatoia di Letta, che per tutta la campagna elettorale ha basato il suo programma sulle priorità di una fantomatica “agenda Draghi” sconosciuta perfino al suo presunto estensore, è cosa talmente surreale da sfiorare il ridicolo. Del resto l’attuale segretario del PD ci è abituato. Mentre scrivo arriva notizia della sua prima conferenza stampa dopo la sconfitta. Da buon ex-democristiano, invece di dimettersi come molti si aspettavano, ha annunciato che non si ricandiderà, e cioè che intende restare incollato alla sedia fino al congresso del partito previsto in febbraio. E in ogni caso – ha concluso serissimo – la colpa di quanto è accaduto non è mia, ma di quei cattivoni di Conte e di Calenda.
Battista Gardoncini