“Se necessario, colpiremo anche i siti culturali presenti in Iran”. La minaccia è arrivata dal presidente degli Stati Uniti Donal Trump il 4 gennaio, ed è stata ripetuta il giorno successivo in una conversazione informale con i cronisti, seminando il panico tra i consiglieri del presidente, consapevoli del fatto che distruggere siti culturali privi di importanza militare è considerato un crimine di guerra da tutte le convenzioni internazionali. Così il segretario alla Difesa Mark Esper è stato costretto a intervenire e a correggere il suo presidente. “Seguiremo le leggi dei conflitti armati” – ha dichiarato imbarazzato – e queste leggi escludono che i siti culturali possano essere considerati obiettivi militari”. Esper ha anche specificato che tra i cinquantadue potenziali obiettivi americani in Iran di cui si era parlato nei giorni scorsi non vi sono siti culturali.
Delle due l’una: o Trump nel suo delirio di onnipotenza ha esagerato, come del resto ha fatto ordinando l’insensato attacco missilistico contro Soleimani, oppure non ha la più pallida idea di che cosa sia un sito culturale. In entrambi i casi c’è da essere seriamente preoccupati, ed è interessante notare che i dubbi serpeggiano anche in campo repubblicano – uno dei più critici è stato il senatore della South Carolina Lindsay Graham – e tra alcuni storici sostenitori del presidente, come il primo ministro inglese Boris Johnson. Non una buona notizia per un uomo che probabilmente aveva deciso l’attacco missilistico per rafforzare la sua leadership sull’Occidente, con un occhio alle procedure di impeachment e l’altro alle elezioni presidenziali di novembre.
Il New York Times, in un documentato articolo sulla vicenda, ha elencato i ventidue siti iraniani che vengono considerati patrimonio dell’umanità e comprendono tra l’altro le rovine di Persepoli, la città santa di Elam e i giardini di Ciro il Grande, e ha ricordato con una una punta di perfidia che la distruzione di siti culturali fu una delle principali accuse mosse dall’Occidente allo Stato Islamico e ai Talebani. E lo ha concluso con uno sferzante commento sul comportamento del presidente in questa e in altre occasioni. Tutta la vicenda, secondo il giornale, sembra il classico risultato dell’abituale comportamento di Trump, abituato a minacciare in modo impulsivo e rifiutare di fare un passo indietro davanti alle critiche.
Di questi tempi – aggiungiamo noi – non è l’unico a comportarsi così. Nel mondo ci sono fin troppi padroni del vapore, ma lui purtroppo è il più pericoloso.
Battista Gardoncini