Ce le ricorderemo per un pezzo, le strade vuote delle nostre città. E se la Fase 2 non andrà come tutti speriamo c’è anche la possibilità che tornino a svuotarsi tra qualche settimana o qualche mese, perché del Covid 19, nonostante gli sforzi di migliaia di scienziati in tutto il mondo, sappiamo ancora troppo poco.
E tuttavia qualche elemento di ottimismo c’è. Non viene dal vaccino, che forse non troveremo mai, ma dal comportamento responsabile tenuto da milioni di persone in tutto il mondo, e anche, un po’ a sorpresa, dalla grande maggioranza degli italiani.
Proprio così. Gli italiani, da sempre indisciplinati, insofferenti alle regole, disillusi nei confronti di un governo sentito come lontano e a volte oppressivo, scettici – non senza qualche ragione – nei confronti dei baracconi delle Regioni, sempre pronti a contestare tutto e tutti perché convinti di saperla più lunga degli altri su qualsiasi argomento all’ordine del giorno, quegli stessi italiani hanno accettato il distanziamento sociale, il blocco delle attività produttive, e tutte le misure che di volta in volta sono state proposte per combattere il virus. Perfino quando erano insufficienti, sbagliate o semplicemente in ritardo.
Forse lo abbiamo fatto per paura. Non solo delle sanzioni. Quegli ospedali presi d’assalto, quei reparti di terapia intensiva insufficienti, quelle bare trasportate nei forni crematori dai camion dell’esercito resteranno nella memoria collettiva come le grandi tragedie della seconda guerra mondiale. Ma la paura non spiega l’orgoglio collettivo che ha portato ad esporre alle finestre il tricolore , i concerti improvvisati dai balconi, le tante manifestazioni di solidarietà nei confronti di chi si è trovato in condizioni economiche difficili e ha trovato l’aiuto concreto di amici e conoscenti. Non spiega l’abnegazione di chi si è trovato in prima linea a combattere il virus, come il personale ospedaliero, e anche dei tanti che hanno combattuto silenziosamente sul loro posto di lavoro, come gli autisti dei mezzi pubblici o le commesse dei supermercati. Non spiega la voglia di ripartire che si respira nella società e nell’economia in questi primi giorni di rallentamento delle restrizioni
Da settantacinque anni l’Italia ha vissuto in pace, a parte qualche eccezione quando abbiamo mandato i nostri soldati a uccidere nelle missioni di pace o a bombardare senza rischi la Serbia, perché quella non era in grado di risponderci per le rime. Eravamo, e ancora siamo, uno dei paesi più ricchi del mondo, come dimostrano le statistiche vere, molto diverse da quelle esibite per tagliare le pensioni e chiedere sacrifici a chi ne aveva già fatti molti. Ci siamo cullati in un illusorio senso di sicurezza, confidando che tutto, alla fine sarebbe sempre andato bene. Un virus quasi invisibile, seicento volte più piccolo del diametro di un capello, ha spazzato via tutte le nostre certezze più consolidate. Ma proprio in questo momento incerto e difficile stiamo dimostrando di avere risorse inaspettate, che fanno ben sperare nel futuro. Esattamente come accadde negli anni della ricostruzione.
Avremo ancora momenti difficili, e non è affatto detto che tutti facciano la loro parte. Pesano le incertezze dell’Europa, i contrasti tra politici che sembrano più attenti all’interesse personale che a quello collettivo, l’inettitudine di alcuni e gli squallidi tentativi di approfittare della situazione di altri che si ricordano di essere italiani solo nel momento del bisogno. Ma le premesse per superarli ci sono.
Battista Gardoncini