L’ottuso bellicismo della stampa italiana

Diciamo le cose come stanno. L’emorragia di copie che affligge da anni i principali giornali italiani non è soltanto colpa della rete, visto che anche le loro edizioni on line raggiungono vertici di faciloneria che non hanno uguali nel mondo occidentale.  E i continui infortuni in cui incorrono i loro giornalisti non sono dovuti soltanto alla pressione cui vengono sottoposti per reggere i ritmi di una informazione drogata. No. E’ proprio la loro incapacità professionale a causare tragicomiche conseguenze come l’immagine dell’attore Anthony Hopkins, papa Ratzinger nel film “I due papi”, usata per illustrare un articolo in morte del vero Ratzinger.

Fin qui ci sarebbe da ridere per non piangere. Ma chi ha voglia di ridere quando in ballo c’è una guerra che rischia di diventare mondiale e, se anche non lo diventasse, sta cambiando gli equilibri del pianeta e il nostro modo di vivere e di pensare?

Le imprecisioni, le omissioni e le falsità che ogni giorno la grande stampa italiana ci propina sulla guerra in Ucraina non sono una invenzione dei putiniani di casa nostra. Per convincersene basta confrontare quello che sugli stessi argomenti scrivono giornali non sospetti di simpatie per la Russia come il New York Times e il Washington Post, che ancora distinguono tra la propaganda politica e la corretta informazione. 

Da noi, invece, un esercito di giornalisti con l’elmetto prende per buono tutto quello che arriva dagli uffici stampa di Zelensky, ignora qualsiasi notizia che smentisca la sua narrazione della guerra, trasforma in “maître à penser”  personaggi sconosciuti e pronostica un giorno sì e l’altro anche la fine di Putin per una grave malattia, un colpo di stato o un attentato. La parzialità si può in parte capire per i giornalisti “embedded”, che per lavorare dipendono in tutto e per tutto dalla benevolenza delle autorità ucraine, anche se ci si potrebbe chiedere perché non ci siano giornalisti “embedded”  sul fronte opposto. Molto meno per chi se ne sta al sicuro in redazione a tagliare e copiare le notizie di agenzia.

Due esempi per capirci. 

Ben raramente, quando affrontano il tema dei profughi ucraini, i giornali italiani citano i quasi tre milioni di persone  – il dato è riportato dall’UNHCR – che dall’inizio della guerra hanno attraversato la frontiera diretti in Russa. Tutti pazzi? Tutti deportati, come dice Zelensky? O più probabilmente ucraini di lingua russa, che hanno abbandonato un paese che da molti anni li considera nemici, e li bombarda?

E sarà soltanto ignoranza, quella che ha portato i nostri giornali a glissare sul fatto che esistono due Zaporizhzhia, la centrale nucleare vicino alla città di Enerhodar, occupata dai russi, e la città di Zaporizhzia, lontana quasi cento chilometri, per il momento ancora in mani ucraine? Forse. Ma sicuramente l’omissione ha favorito nei lettori l’impressione che fossero i russi, e non gli ucraini, a bombardare la centrale. E cioè se stessi.

L’elenco potrebbe andare avanti a lungo. Se Putin è un autocrate con una idea molto peculiare della democrazia, che dire di Zelensky, che ha messo fuori legge i partiti di opposizione e ha concentrato nelle sue mani il controllo di tutti i mezzi di comunicazione del paese? Se la Russia è un paese corrotto, che cosa bisogna pensare dell’Ucraina, dove le armi occidentali finiscono sul mercato nero, e gli aiuti umanitari alla popolazione alimentano vorticosi giri di tangenti? Se gli ucraini stanno vincendo, come si ostinano a scrivere molti nostri commentatori, perché continuano a chiedere all’occidente armi sempre più potenti per fermare l’avanzata dei russi?

La guerra è una cosa orribile. Discuterne è giusto, ma l’ottuso bellicismo della grande stampa italiana sta trasformando il dibattito in uno scontro tra opposte tifoserie, dove le urla si sostituiscono ai fatti, e gli spazi di ragionevolezza si riducono. Tempi bui ci aspettano.

Battista Gardoncini

1 comment
  1. Raccontare il conflitto a far data dal 24/02/2022 è come iniziare il conte di Montecristo da quando Edmond Dantès compare a Parigi.

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