Ci sono molte ragioni per criticare l’Europa, a cominciare dal suo improponibile presidente Jean-Claude Juncker, che forse è un alcolista o forse no, ma sicuramente ha dimostrato un sovrano disprezzo per il bene comune quando era primo ministro del Lussemburgo. Basti pensare alla sua politica fiscale, che ha aiutato oltre trecento multinazionali a eludere miliardi di tasse nei paesi dove operavano, o alle accuse di aver fatto schedare a fini politici migliaia di lussemburghesi che nel 2013 lo costrinsero a dimettersi.
L’elezione a larga maggioranza di un siffatto personaggio alla presidenza, nel luglio del 2014, non può essere considerata un incidente di percorso, ma dimostra quanto si sia modificata nel corso del tempo l’idea d’Europa.
I padri fondatori avevano immaginato una comunità politica e culturale che mettesse il vecchio continente al riparo dai particolarismi e dalle guerre. Ma i loro successori, negli anni che sono trascorsi tra i primi accordi commerciali e l’introduzione dell’euro, hanno incominciato a pensare che la leva economica fosse sufficiente a garantire il processo di unificazione, e si sono dimenticati di tutto il resto.
La complessità del mondo attuale, con le tensioni internazionali, l’insorgere dei particolarismi e la presenza di inarrestabili fenomeni migratori, non sembra aver turbato gli attuali euroburocrati. Chiusi nei loro recinti finanziari, ignorano le difficoltà di strati sempre più larghi della popolazione, guardano con fastidio alle emergenze umanitarie e alle preoccupazioni ambientali, e continuano imperterriti a commisurare successi e fallimenti sull’andamento del PIL. L’Europa che hanno costruito è l’Europa dei capitali, dove inevitabilmente il più forte ha sempre ragione. E infatti piace alla Francia e alla Germania, che continueranno a decidere per tutti anche dopo le prossime elezioni, con buona pace dei bellicosi propositi dei Salvini di turno.
Ammettiamolo. L’Europa di oggi non è il massimo. Però sulla carta resta un’ottima idea, forse l’unica che ci resta dopo il crollo delle ideologie e l’ascesa di una generazione di “nuovi” politici che in assenza di ogni principio sono disposti a qualsiasi compromesso pur di conquistare o mantenere il potere. E non è certo un caso che proprio da loro vengano gli attacchi più feroci ai vincoli che l’Europa si è data sui temi dei diritti civili e della immigrazione, e neppure una parola sulla necessità di introdurre nuove regole per limitare lo strapotere dei mercati e per tutelare il lavoro.
Tra poco si voterà per il rinnovo del parlamento europeo. La sinistra italiana è in affanno e ancora non ha trovato un assetto che le permetta di uscire dall’angolo dove è finita per le scelte dissennate dei suoi leader. E’ probabilmente destinata a un’altra sonora sconfitta, ma potrebbe approfittare della scadenza per ricostruirsi una identità credibile, battendosi con forza per una Europa diversa da quella di oggi. Una Europa meno liberista, che guardi alle esigenze delle persone e non ai bilanci delle aziende. Una Europa più severa nei confronti dei paesi membri che non rispettino i principi minimi di uno stato democratico. Invece, almeno da quello che si è visto finora, è distratta dalle sue beghe interne e tace, lasciando ancora una volta che siano i partiti dell’attuale maggioranza, con le loro rozze e brutali semplificazioni, a dettare l’agenda della campagna elettorale.
Battista Gardoncini