Come le gazzelle della savana, che ogni mattina si svegliano sapendo di dover correre più veloci del leone per non essere mangiate, alcuni giornalisti del Corriere della Sera – non tutti per fortuna – si svegliano ogni mattina con l’obiettivo di dimostrare la superiorità dell’Occidente sul resto del mondo, dove la democrazia non esiste, i capi sono cattivissimi, e il popolo non conta nulla. E pazienza se per riuscirci calpestano alcuni basilari principi del giornalismo.
Lasciamo per un momento da parte il conflitto in Ucraina, dove secondo gli inviati e i commentatori del principale giornale italiano gli ucraini stanno vincendo e Putin farà una brutta fine, e spostiamoci un poco più a Est, in Cina. Anche lì, inutile dirlo, sono pieni di difetti, e anche di pretese. Con la scusa che sono il paese più popolato del pianeta vogliono essere presi sul serio anche quando dicono che la questione dei cinesi di Taiwan, e più in generale del Mar Cinese Orientale, li tocca da vicino. E che le ingerenze straniere non sono gradite.
Con i cinesi, prima o poi, l’Occidente è intenzionato a fare i conti. Non sia mai che diventino più ricchi e potenti degli Stati Uniti e vogliano estendere la loro sfera di influenza. Così i solerti giornalisti del Corriere si stanno portando avanti con il loro lavoro ai fianchi.
Questa mattina Massimo Gaggi, da New York, ha rispolverato la vecchia questione dell’origine del Covid, di cui molto si discusse un paio di anni fa. Qualcuno riteneva che il virus potesse essere sfuggito da un laboratorio di Wuhan, dove si conducevano esperimenti sui pipistrelli. La questione fu rapidamente accantonata da tutte le principali agenzie internazionali che si occupavano di sanità, con le motivazioni che potete trovare anche qui . E forse vale la pena di ricordare che tra i sostenitori di questa ardita tesi, poco scientifica e molto ideologica, c’erano l’allora presidente degli Stati Uniti Trump, e qui in Italia l’ineffabile Salvini.
Adesso però – dice Gaggi – sarebbero usciti nuovi elementi che potrebbero aprire il caso. Quali? L’organizzazione mondiale della sanità, che a suo tempo aveva ufficialmente chiuso la questione, avrebbe invitato a nuove e non meglio precisate indagini, ma Gaggi non si degna di spiegare perché. Entra invece nei dettagli su un rapporto «intermedio» di una commissione del senato degli Stati Uniti, firmato dalla sola componente repubblicana perché quella democratica si è sfilata. Secondo questo rapporto esisterebbero molti indizi su un incidente di laboratorio che avrebbe consentito la fuga di un virus manipolato. Però Gaggi non cita un indizio, ma una illazione: agli estensori del rapporto appare inverosimile che due team di scienziati dell’esercito cinese siano riusciti a mettere a punto un vaccino già nel febbraio 2020. Secondo gli esperti è assai più verosimile che i team abbiano avuto accesso alla sequenza genomica del virus fin dal novembre 2019 per l’evidente (?) motivo che l’avevano assemblato loro.
Il secondo pilastro delle argomentazioni di Gaggi è una inchiesta di Vanity Fair e Propublica, che nel dicembre del 2019 avrebbero monitorato una “consistente e insolita” quantità di comunicazioni tra il laboratorio di Wuhan e i vertici dello stato. Il sospetto che il governo cinese, a pandemia già iniziata, considerasse necessario parlarne con i suoi maggiori esperti non sembra sfiorare né Gaggi né Vanity Fair. Forse perché negli stessi giorni tutti i governi occidentali facevano finta di niente.
Infine, la ciliegina sulla torta. Gaggi dice che un genetista del Montana, un farmacologo della Duke University e un ginecologo tedesco – di cui, forse per la fretta, non fa i nomi – avrebbero trovato un metodo semplice e quasi infallibile per capire se il Covid 19 è stato prodotto in laboratorio. E che tanti altri scienziati – anche questi innominati – sarebbero al lavoro per trovare le conferme, che “non consentiranno comunque di arrivare a una certezza assoluta”.
A differenza di Maggi, noi una certezza assoluta l’abbiamo. Ma siccome riguarda il suo modo di fare il giornalismo preferiamo non dirla.
Battista Gardoncini