Le fake news secondo Victor Serge

C’è un punto di Mein Kampf, una ventina di righe di un cinismo perfetto, sulla utilità della calunnia impiegata vigorosamente. I nuovi metodi totalitari di dominio sullo spirito delle masse riprendono i procedimenti della grande pubblicità commerciale aggiungendovi, su un fondo di irrazionalismo, una violenza forsennata. La sfida alla intelligenza umilia quest’ultima e ne prefigura la disfatta. L’affermazione enorme e inattesa sorprende l’uomo medio, il quale non concepisce che si possa mentire in quel modo. La brutalità lo intimidisce e riscatta in certo qual modo l’impostura; l’uomo medio, mentre vacilla sotto il colpo, ha la tentazione di dirsi che dopotutto quella frenesia deve avere una giustificazione superiore, che oltrepassa la sua comprensione. Il buon successo di simile tecniche è evidentemente possibile soltanto in epoche torbide, e a condizione che le minoranze coraggiose, che incarnano il senso critico, siano bene imbavagliate o ridotte all’impotenza dalla ragione di stato e dalla mancanza di risorse materiali”.

Nulla di nuovo sotto il sole. I riferimenti e il linguaggio di questo brano sorprendente riportano a tempi ormai lontani, ma i contenuti, nell’epoca delle fake news e della manipolazione propagandistica delle notizie, restano di grandissima attualità. E colpisce la lucidità dell’analisi, la capacità di andare oltre il contingente e di prefigurare il futuro, in un testo che risale al 1943.

Così scriveva infatti  il russo Victor Kibal’čič, meglio noto come Victor Serge, nelle sue Memorie di un rivoluzionario, una straordinaria testimonianza sulle aspirazioni degli uomini che come lui, nei primi quaranta anni del XX secolo, credevano di “vivere in un mondo senza evasione possibile, dove non restava che battersi per una evasione impossibile”.

Nel libro, accanto alle sue drammatiche vicende personali – Serge trascorse nelle carceri francesi e russe oltre dieci anni, fu perseguitato e calunniato da destra e da sinistra, venne costretto all’esilio in Messico dove morì in povertà – si parla di anarchia e comunismo, pace e guerra, ma soprattutto c’è una lucida descrizione dei  meccanismi che trasformarono la rivoluzione bolscevica in una mostruosa macchina  di repressione e morte.  Serge fu uno dei protagonisti di quegli anni di fervore rivoluzionario. Vide cadere a uno a uno amici e nemici, e scampò alla morte soltanto grazie alla mobilitazione internazionale che convinse Stalin a espellerlo dal Paese. Ma non rinunciò mai a lottare per una  evasione impossibile, e a raccontare, forte della conoscenza diretta di uomini e cose, quello che stava accadendo all’ombra del Cremlino. 

Per i molti che in Italia le lessero alla fine degli anni Sessanta, le “Memorie di un rivoluzionario” furono un libro decisivo nella elaborazione della critica agli errori e agli orrori della costruzione del socialismo in un solo paese. Poco importa stabilire qui se si trattò di degenerazioni, come pensava Trotsky di cui Serge fu prima amico e poi critico, o di inevitabili conseguenze di premesse sbagliate, come arrivò a pensare lo stesso Serge.

Resta l’ammirazione per un uomo coraggioso, di straordinaria coerenza e lucidità di pensiero. E la gratitudine.

Battista Gardoncini

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