I dittatori non vanno troppo d’accordo con la scienza, a meno che non serva ai loro fini immediati. Possono anche sostenere la ricerca, ma non tollerano le condizioni che normalmente permettono agli scienziati di ottenere risultati migliori, dalla indipendenza di pensiero alla libera circolazione delle idee. E alla fine sono proprio questi aspetti che tendono ad allontanare le menti migliori.
Sul sito di Nature, forse la più influente rivista scientifica del mondo, è comparso un interessante articolo di Alison Abbott che riguarda la Turchia governata con pugno di ferro dal presidente Erdogan dopo il fallimento del golpe del 15 luglio.
Erdogan aveva progetti molto ambiziosi per il paese. Entro il 2023, centenario della fondazione moderna Turchia, avrebbe voluto portarla tra le prime dieci economie del mondo, e aveva stanziato notevoli fondi per rendere competitive le università e creare nuovi centri di ricerca capaci di favorire il ritorno dei cervelli in fuga. Con un certo successo, perché molti, attirati dalle nuove condizioni di lavoro, erano tornati, mentre altri avevano addirittura apprezzato la sua decisione di allontanare dalle università i sostenitori del predicatore Gülem, costretto all’esilio con l’accusa di terrorismo, perché non l’avevano considerata una epurazione, ma un modo per liberare la scienza dalle pastoie della religione.
Con il giro di vite arrivato dopo il 15 luglio l’idillio degli scienziati con il nuovo Sultano sembra finito. Secondo Abbott alcuni ricercatori sono stati direttamente coinvolti nelle retate della polizia, e oltre settemila sono stati allontanati dai loro posti semplicemente per avere espresso critiche nei confronti di Erdogan o aver firmato petizioni per la libertà di insegnamento. Moltissimi lamentano che è diventato difficile lavorare a causa del clima generale di incertezza del paese, e sottolineano che questa incertezza ha avuto riflessi pesanti anche sul piano internazionale: quasi tutti gli incontri scientifici programmati in Turchia nel 1917 sono stati cancellati.
La sintesi è arrivata da un genetista turco che lavora a Harvard. “In questo momento alla scienza turca arrivano molti soldi – ha detto alla Abbott – ma lo stato di emergenza non le fa sicuramente bene”.