Spagna, la disputa della “papereta”

La “papereta”. Intorno a questa parola, che significa una cosa di una banale semplicità in catalano perché il termine indica un pezzo di carta qualsiasi, un fogliettino tanto per capirci, sta alimentando in Catalunya una disputa che non si vedeva da 300 anni, da quando al termine della Guerra di Successione, nel 1714, una Barcellona assediata per mesi perse la sua indipendenza, i suoi organi di autogoverno risalenti al IX secolo, l’uso della lingua catalana e altre peculiarità tipiche del suo popolo su imposizione, dura e sanguinosa, dei Borboni vincitori della corona di Spagna sugli Asburgo. E la stessa cosa avvenne alla fine della guerra civile nel 1939 quando Franco decretò un’analoga repressione nella quotidianità durata fino alla sua morte alla fine del 1975. Da allora, recuperata una certa autonomia sulla base della costituzione del 1978, alti e bassi, dove il pragmatismo proverbiale dei catalani, per salvaguardare la propria differenza, li vide spesso determinanti a Madrid a fianco di governi anche di opposto colore.

Quanto succede oggi però è la chiara conseguenza di una contrapposizione che ha radici lontane, almeno da quando, nel 2010, il Tribunal Constitucional spagnolo, diede una notevole sforbiciata al nuovo Estatut d’Autonomia, lo statuto della Catalunya, in merito alle prerogative catalane nell’ambito della Spagna. Allora l’Estatut era stato approvato in referendum dall’80 per cento dei catalani, ma la scelta di smontarne l’efficacia da parte del tribunale supremo, fece adirare i catalani ingrossando le file del neoindipendentismo, visto come unica soluzione per mantenere le proprie prerogative di differenza.

Da quel momento l’escalation: l’attuale primo ministro spagnolo Mariano Rajoy vince le elezioni nel 2011 e assume una linea di non dialogo con i governi catalani di ogni colore. Il resto è cronaca: le elezioni catalane del 2015 fanno uscire dalle urne una maggioranza che ha come programma l’indipendenza della Catalunya comunque, anche unilaterale, se Madrid non si siede al tavolo delle trattative. Nel frattempo la società catalana, indistintamente trasversale, scende in piazza tutti gli anni: una catena umana di 400 chilometri, una consultazione, sbeffeggiata da Madrid, a cui partecipa mezzo paese e che vede l’80 per cento del si all’indipendenza, due milioni e mezzo di persone nelle strade di Barcellona per reclamare l’autodeterminazione nel 2015. un milione solo un paio di settimane fa analogamente schierate.

I sondaggi di oggi, a poco più di dieci giorni dalla data del 1° ottobre, parlano di 75 per cento di suffragi per il sì e di una partecipazione almeno del 60 per cento dei catalani. La risposta di Madrid è sequestrare le “paperetes”, tagliare la fornitura elettrica nelle sedi dei seggi elettorali, arrestare i funzionari del governo catalano che svolgono la propria attività sulla base di leggi approvate dal Parlament de Catalunya, accusare i catalani e i loro governanti di golpismo. Ma non sceglie di dialogare trincerandosi dietro la Costituzione che non parla di referendum. In strada l’11 settembre scorso c’erano famiglie, bambini, anziani, una grande festa popolare. Di fatto Madrid ha decretato lo stato di emergenza. Probabilmente siamo ad un punto di non ritorno per la Spagna intesa in quanto tale.

Luis Cabasés

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