Dalla batosta vietnamita gli sconfitti hanno imparato una grande lezione. Le guerre si possono fare, a patto che l’opinione pubblica non se ne accorga, e che vi siano poche perdite tra i militari impegnati sul campo. Così hanno incominciato a definire i loro eserciti “forze di pace”, e a sfruttare la superiorità tecnologica per minimizzare i rischi colpendo dal cielo, con gli aerei e con i droni. Le loro bombe sono diventate “intelligenti” e le loro devastazioni, viste in televisione, non appaiono molto diverse dai videogiochi che tanto piacciono agli adolescenti. Dunque accettabili.
“Il diritto di uccidere”, titolo originale “Eye in the Sky”, in questi giorni nelle sale, racconta il dietro le quinte di un attacco di droni contro un gruppo di terroristi in procinto di organizzare un attentato in Kenia. Quel che accade nel covo è visibile attraverso una telecamera miniaturizzata nascosta in un insetto telecomandato, l’edificio è sorvegliato dall’alto dai sofisticati obiettivi del drone armato di missili, i politici possono seguire l’azione in tempo reale dai loro uffici di Londra. Ma il pilota del drone, prima di premere il grilletto dalla sua base nordamericana, si accorge che a pochi metri dal covo una ragazzina sta vendendo pane ai passanti. E esita.
Il film, del regista sudafricano Gavin Hood, è bello e magistralmente interpretato da Helen Mirren, Aaron Paul e dal recentemente scomparso Alan Rickman. Soprattutto fa riflettere. Perché quella ragazzina, che all’inizio del film abbiamo visto giocare con il suo hula hoop, è un possibile danno collaterale. E’ carne e sangue, quella carne e quel sangue che la narcotizzata opinione pubblica occidentale tende a dimenticare.
Il dilemma etico del pilota, le esitazioni dei politici preoccupati soltanto di scaricare su altri le responsabilità, le esigenze reali della guerra al terrorismo e quelle non meno forti di chi vuole nonostante tutto conservare un briciolo di umanità, sono al centro di una narrazione che non lascia allo spettatore un attimo di respiro, e non dà risposte, forse perché non ce ne sono.
Certo è che dopo averlo visto diventa difficile, molto difficile, leggere distrattamente i titoli trionfanti dei giornali che annunciano il successo della ennesima operazione antiterrorismo condotta con l’uso di un drone.