Dare i numeri

Forse è giunto il momento di dare i numeri. Tutti i giorni siamo sommersi da quelli che certificano i morti e i disastri sociali del coronavirus, e nessuno può negare che siano numeri terribili.  Ma ce ne sono anche altri, che ci aiuterebbero a capire meglio le dimensioni della crisi e a fare giustizia di alcune delle inesattezze in circolazione, se soltanto qualcuno si degnasse di ricordarli. 

Ci proviamo noi, citandone alcuni alla rinfusa, così come ci sono venuti in mente leggendo i giornali o guardando la televisione. Perché i numeri sono numeri, ma il modo di raccontarli ha la sua importanza.

Dal 21 febbraio a oggi in Italia il Covid-19 ha ufficialmente ucciso 30.560 persone, con una media di 377 morti al giorno, quasi tutti anziani.  Sono numeri che impressionano, ma sono molto lontani dai 600.000 morti provocati in Italia nel 1918-1919  dall’influenza spagnola, che uccideva in media oltre 1600 persone al giorno, senza troppo badare all’età. Una valutazione oggettiva dovrebbe anche tenere conto del fatto che nel  corso del 2019, quando di Covid ancora non si parlava, in Italia ci sono stati 647.000 decessi, con una media giornaliera di 1.772 morti. È probabile che nel 2020 supereremo di molto queste cifre. Ma questo è già accaduto, senza troppo clamore, anche nel recente passato: i demografi stanno ancora studiando il picco del 2015, quando un anomalo tasso di mortalità, pari al 10,7 per mille, provocò 653.000 morti, 54.000 in più rispetto al 2014. Tra le possibili cause è stata individuata anche una influenza non contrastata a sufficienza dal vaccino disponibile, che colpì le fasce più anziane e deboli della popolazione.

Guardare ai numeri aiuta a capire altri aspetti dell’attuale pandemia,  ad esempio evitando troppo facili confronti tra i sistemi sanitari e le misure di prevenzione adottate dai diversi paesi. Restando in Europa, chi vorrebbe imitare l’approccio soft della Svezia dovrebbe anche ricordare che stiamo parlando di un paese che ha un distanziamento sociale “naturale”,  diretta conseguenza di una densità media di 23 abitanti per chilometro quadrato. La Spagna, dove le vittime del Covid sono ad oggi 26.600,  ha una densità media è di 80 abitanti per chilometro quadrato. La  Francia, dove le vittime sono 26.300, ha una densità di 100 abitanti per chilometro quadrato. Nulla di paragonabile con l’Italia, che ha una  densità media molto più elevata, 200 abitanti per chilometro quadrato, con il Regno Unito, 282 abitanti per chilometro quadrato e 31.900 vittime, o con il piccolo Belgio, dove la densità è di 351 abitanti per chilometro quadrato e il numero delle vittime altissimo:  8600 su una popolazione di  appena 11 milioni di persone.  In questo quadro l’eccezione è la Germania, che ha una densità di 236 abitanti per chilometro quadrato e ha registrato appena 7500 decessi, e infatti viene studiata dagli epidemiologi con particolare attenzione.

Siamo in piena pandemia, ed è probabilmente troppo presto per fare previsioni attendibili sulla sua durata e sulle sue conseguenze. Perfino i dati disponibili sono dubbi perché molti casi di contagio sfuggono ai sistemi di rilevamento,  e alcuni governi hanno scelto di minimizzare l’impatto del virus sulla società. Per concludere, però, potrebbe essere utile un confronto tra gli incerti numeri del Covid e quelli certi della malaria, che nel 2018, secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità, ha colpito 228 milioni di persone nel mondo. Le vittime sono state 405.000, e per oltre la metà erano bambini di età inferiore ai cinque anni. Una strage degli innocenti che noi ricchi occidentali preferiamo dimenticare, perché l’85% dei decessi è concentrato nell’Africa sub-sahariana e in India. Sentirsi indifesi  di fronte a una malattia che non si sa come combattere è una sensazione nuova per la maggior parte di noi. La speranza è che ci serva almeno per guardare con maggiore attenzione ai problemi degli altri.

Battista Gardoncini

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