È arrivato a proposito, come il cacio sui maccheroni, lo scoop del New York Times, ripreso dalle testate tedesche Ard, Swr e Die Zeit, che attribuisce a un gruppo di sabotatori “pro-ucraini” l’attacco ai gasdotti Nord Stream 1 e 2, avvenuto a settembre nel Mar Baltico, al largo della Svezia. Non perché ci siano evidenze in questo senso, ma perché le evidenze stavano andando in un senso diametralmente opposto, profondamente imbarazzante per le relazioni tra gli Stati Uniti e la Germania, parte lesa in quanto destinataria del gas e riluttante alleata nella guerra contro la Russia di Putin. Dunque qualcosa andava fatto per stendere una provvidenziale cortina fumogena sull’intera vicenda. Nulla di nuovo sotto il sole, peraltro, se pensiamo alle inesistenti armi di distruzione di massa di Saddam Hussein, che molti anni fa vennero prese a pretesto per l’invasione dell’Irak.
Secondo il New York Times, che attribuisce le rivelazioni ad anonimi ufficiali dell’intelligence americana e in alcuni punti del suo articolo sembra quasi prendere le distanze dalle fonti, a piazzare le cariche esplosive sarebbe stato un gruppo di ucraini o di russi dissidenti, che avrebbe agito di propria iniziativa, senza ordini specifici da parte del governo di Kiev e senza alcun coinvolgimento degli Stati Uniti.
Cinque uomini e una donna – specificano i giornali tedeschi – avrebbero affittato uno yacht in Polonia per raggiungere il luogo del sabotaggio, immergendosi a ottanta metri di profondità, e piazzando le cariche che sarebbero state fatte detonare poco dopo. A cose fatte i sei avrebbero restituito la barca, dove gli investigatori avrebbero trovato tracce di esplosivo su un tavolo. Diabolicamente abili, ma un po’ sbadati.
Sul sabotaggio dei due Nord Stream sono all’opera numerosi team investigativi occidentali, che hanno detto tutto e il contrario di tutto, compresa la palese assurdità che potessero essere stati i russi, proprietari con i tedeschi degli impianti, a farli saltare. Accade, quando il giornalismo cede il passo alla propaganda di guerra. Ma poco alla volta la verità sta venendo a galla grazie agli sforzi del decano dei giornalisti investigativi americani e premio Pulitzer Seymour Hersh, che in un articolo magistrale ha messo insieme alcuni fatti noti e le dichiarazioni di fonti molto bene informate, e ovviamente anonime.
Hersh ha spiegato che nel sabotaggio dei due gasdotti non ci sono misteri. Gli Stati Uniti, per bocca del presidente Biden e della sottosegretaria di Stato Victoria Nuland, avevano pubblicamente annunciato che in caso di guerra li avrebbero bloccati, e lo hanno fatto. Ma il valore aggiunto della sua indagine consiste nell’avere individuato il come, ricostruendo il contesto politico nel quale è maturata la decisione, spiegando con dovizia di particolari le modalità di una azione che si è svolta in più tempi e si è avvalsa della collaborazione del governo norvegese, e indicandone con precisione gli autori, scelti in un corpo di subacquei della marina in grado di operare al di fuori del controllo del congresso.
Contro Hersh si è subito alzato il fuoco di sbarramento delle smentite dell’amministrazione Biden, che la stampa italiana si è affrettata a riportare con evidenza ben maggiore di quella riservata al suo articolo. Grazie alla disinvolta distrazione dei nostri giornali quasi non ce ne siamo accorti, ma le rivelazioni di Hersh sono state prese molto sul serio e hanno provocato incandescenti dibattiti perfino in seno alle Nazioni Unite, dove la Russia ha chiesto la convocazione del consiglio di sicurezza.
Siamo in una guerra particolare, dove gli avversari combattono anche sul terreno della propaganda e la verità è una vittima esattamente come i caduti sui campi di battaglia. L’unica cosa certa nel sabotaggio dei due gasdotti è il palpabile imbarazzo che ha suscitato. La soffiata dell’intelligence americana al New York Times arriva al momento giusto per salvare capra e cavoli. Individuando i colpevoli in un gruppetto di cani sciolti mossi dal fanatismo, assolve in un colpo solo l’Occidente, l’ignaro Zelensky e perfino il nemico Putin. Qualcuno potrebbe pensare che sia troppo bella per essere vera.
Battista Gardoncini