Colpirne uno

Il 10 giugno del 1981, a San Benedetto del Tronto, i brigatisti rossi rapirono Roberto Peci, fratello del pentito Patrizio, che con le sue confessioni stava dando un contributo decisivo allo smantellamento dell’organizzazione. Cinquantacinque giorni dopo, al termine di un processo farsa dove i brigatisti lo accusarono di “tradimento” per avere favorito il pentimento del fratello, fu ucciso con undici colpi di pistola in un casolare alla periferia di Roma. In realtà si trattò di una vendetta trasversale di tipo mafioso nei confronti di un innocente che non aveva legami con il partito armato. Nelle intenzioni degli assassini il processo doveva servire come ammonimento ai numerosi brigatisti che stavano dissociandosi dalla lotta armata, e sceglievano la strada della collaborazione con lo stato. Per questo fu interamente ripreso in un drammatico video, che la RAI rifiutò di trasmettere.

Alla guida del gruppo c’era un docente universitario entrato in clandestinità, Giovanni Senzani, che fu arrestato l’anno seguente a Roma insieme ai complici, e condannato all’ergastolo in un processo dove la pubblica accusa venne sostenuta da un magistrato della procura di Ascoli, Mario Mandrelli.

Il giornalista Mario Di Vito, collaboratore del Manifesto e di altre testate, è il nipote di quel magistrato, scomparso nel 2007, e ha da poco pubblicato con Laterza “Colpirne uno”, che ha il significativo sottotitolo   “Ritratto di famiglia con Brigate Rosse”. 

Di Vito, infatti, non si limita a una puntigliosa ricostruzione degli avvenimenti basata su una solida documentazione. Li fa rivivere attraverso le memorie della sua famiglia: le carte del nonno con gli appunti sulle indagini e sul processo, il diario della nonna, i racconti della madre e degli altri fratelli. Accanto alla storia pubblica si fa così strada, prepotente, quella privata di una famiglia che viveva con la scorta, cercando disperatamente di conservare un barlume di normalità. E irrompono i sentimenti: la voglia di giustizia, il dubbio, e anche la paura, combattuta con un orgoglioso senso del dovere. 

Proprio in questa dimensione privata il libro di Di Vito trova la sua originalità e la sua forza. Nel corso del tempo gli anni di piombo hanno alimentato una abbondante memorialistica, e sono stati oggetto di numerosi saggi, alcuni interessanti, altri un po’ meno. “Colpirne uno”, è una riuscita sintesi dei due filoni, e a mio avviso non dovrebbe mancare nelle librerie di chi visse quel periodo o anche semplicemente vorrebbe saperne qualcosa di più.

Battista Gardoncini

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