Prima si vota. Poi Il presidente della repubblica avvia un giro di consultazioni e affida l’incarico di formare il nuovo governo a chi dispone sulla carta di una maggioranza, e lo manda in parlamento a cercare i voti necessari per ottenere la fiducia. Nessun presidente del consiglio italiano è mai stato scelto direttamente dai cittadini, neppure quando il sistema elettorale era maggioritario e fortemente personalizzato. E sarà così anche questa volta, perché lo dice la costituzione, unico punto fermo in un paese dove si è affermata la dubbia prassi di modificare le leggi elettorali secondo la convenienza del momento, e il Rosatellum ha appena resuscitato logiche di tipo proporzionale.
Questo i partiti lo sanno bene. E tuttavia le principali forze in campo hanno deciso di inserire i nomi dei loro leader nei simboli che troveremo sulle schede. Di Maio per i Cinque Stelle, Grasso per Liberi e Uguali, Salvini per la Lega, Meloni per Fratelli d’Italia, Berlusconi per Forza Italia, con buona pace della legge che gli impedisce di candidarsi perché condannato in via definitiva per truffa.
In un quadro dove compare perfino la Bonino è paradossale che manchi all’appello il solo Renzi, proprio in questi giorni impegnato nell’ambizioso tentativo di fare del PD il suo partito personale. I fedelissimi hanno imparato da lui a dire una cosa e a pensarne un’altra, e sostengono pubblicamente la bontà di una scelta volta a sottolineare il carattere plurale del partito. Ma sanno benissimo che Renzi non c’è perché il suo nome sulla scheda rischierebbe di far perdere voti invece di guadagnarli.
Per come si stanno mettendo le cose, comunque, nessuno dei leader presenti sui simboli elettorali ha molte possibilità di ricevere l’incarico dal presidente della repubblica. La probabilità che dalle urne esca una maggioranza autosufficiente è molto bassa, e per formare un nuovo governo si dovrà arrivare a qualche forma di accordo tra forze politiche apparentemente non omogenee. Dunque il presidente della repubblica dovrà tirare fuori dal cappello un nome nuovo, in grado di mettere tutti d’accordo. In questi giorni sta circolando quello dell’attuale presidente del consiglio Gentiloni, ma il 4 marzo è ancora lontano.
I nomi sui simboli sono una ennesima truffa nei confronti degli elettori, specchietti per le allodole verso una opinione pubblica condizionata dalla rappresentazione personalizzata della politica che i media propongono giorno dopo giorno, ossessivamente. Sui giornali, sulle radio, sulle televisioni e sul web la sostanza delle cose si smarrisce, sostituita dal rincorrersi delle dichiarazioni e delle polemiche alimentate ad arte, che nel giro di poche ore saranno dimenticate e rimpiazzate da altre altrettanto inconsistenti. La prontezza della battuta surclassa l’idea, la promessa mirabolante è più efficace del ragionamento, l’apparenza diventa la realtà. Come in fondo è normale che sia nel mondo mercificato che ci siamo costruiti.
Battista Gardoncini