Quante volte è morta la scrittrice inglese Doris Lessing? Una volta sola, naturalmente. E nel novembre del 2013. E’ morta invece almeno una decina di volte (c’è chi le ha contate) su Facebook. Regolarmente, soprattutto in occasione di un qualche anniversario, c’è chi rispolvera un link del 2013 che annuncia la scomparsa della scrittrice. Posta il link con la notizia sul suo profilo come se il fatto fosse accaduto quel giorno stesso. E, cosa ancora più sorprendente, e per qualche ragione misteriosa, da quel momento lì in poi comincia la lunga trafila di altri utenti che prendono parte, con link e messaggi tristissimi, al dolore per la scomparsa della signora Lessing. E molti condividono lo stesso messaggio sui loro profili ingenerando un vortice di accorati cordogli e partecipazioni sentite. Ma la Lessing non era morta tre o quattro anni fa?
Qualche giorno fa è accaduto lo stesso con una notizia che riguardava il regista inglese Ken Loach che avrebbe rifiutato di partecipare (per ragioni di solidarietà a lavoratori impegnati nel mondo del cinema) alla consegna di un premio che gli aveva assegnato la giuria del Torino Film Festival. Qualcuno l’ha trovata in un archivio, l’ha postata e da lì in poi è cominciato il diluvio dei like, delle faccine, dei commenti astiosi o di simpatia. Molti hanno condiviso la medesima notizia che è corsa così su centinaia di profili, compresi quelli di cinefili accaniti. Ma forse non tanto aggiornati. Perché la notizia era vera, ma si riferiva ad un episodio accaduto ben quattro anni fa, non al Festival in corso in questi giorni a Torino. E tutto questo è accaduto in poche ore, fino a quando qualcuno non ha scritto in un commento: ma non vi siete accorti che è una notizia del 2012?
Come può capitare? Le ipotesi sono tante e meriterebbero una serata di studio, anche con qualche neurologo. Il dato di fatto più concreto è che la frenesia con cui 1 miliardo e mezzo di persone al mondo fa scorrere con il dito sullo smartphone le notizie che legge sul rullo di Facebook non permette di soffermarsi mai sui contenuti delle notizie. Si mette un like a prescindere, come direbbe Totò. D’altra parte in mezzo a gattini e cagnolini in pose oscene e stucchevoli non c’è da stupirsi se c’è chi mette “mi piace” alle zampe di un bassotto sformato dal grasso e un secondo dopo partecipa alla morte di Doris Lessing con il medesimo disincanto e la stessa naturalezza.
Ad ogni buon conto, io ho preso le mie contromisure. L’altro giorno è scomparso Vittorio Sermonti. Sapevo che era malato e avevo appena letto lo struggente messaggio d’addio sul suo profilo Facebook. Ma per precauzione, prima di partecipare al cordoglio generale digitale, sono andato a vedere su Wikipedia che fosse veramente morto adesso.
In fondo, Facebook ha raggiunto il suo scopo. Che non è quello solo quello di raccogliere milioni di dati privati, ma anche di manipolarci un po’. Ci fa perdere anche un sacco di certezze e dobbiamo ricorrere alle risorse della rete per essere sicuri di quello che già sappiamo.
Giorgio Levi