Le probabilità che il centro-sinistra vinca le elezioni regionali del 2019 in Piemonte sono molto basse. Lo dicono i numeri – stando ai risultati delle politiche per battere il centro-destra occorrerebbe recuperare almeno mezzo milione di voti – ma anche e soprattutto quello che sta accadendo in un paese dove la divaricazione tra il Nord e il Sud ha trovato una compiuta e probabilmente stabile rappresentazione nel bipolarismo tra il centro-destra e i Cinque Stelle.
Di fronte a questa inedita situazione ci si sarebbe aspettato da parte degli sconfitti dell’ultima tornata elettorale una analisi politica un poco più articolata del mantra ossessivamente ripetuto “hanno vinto, ora governino se ne sono capaci”. Ma la recente batosta non sembra avere insegnato nulla al PD, dove Renzi resta incredibilmente l’azionista di riferimento, mentre i cespugli della coalizione tacciono e a sinistra LEU deve fare i conti con il fallimento di un progetto sulla carta interessante, ma presentato all’opinione pubblica con i volti usurati di Grasso, D’Alema e Boldrini.
Le prospettive del centro sinistra piemontese sembrano dunque piuttosto grigie a prescindere, e il presidente uscente Sergio Chiamparino, cui l’intelligenza politica non fa difetto, ne è ben consapevole. E’ quindi comprensibile che si sia posto il problema di ricostruire una coalizione competitiva, e che abbia proposto per la sua guida il volto prestigioso del chirurgo Mauro Salizzoni, sicuramente di sinistra, ma non direttamente coinvolto nei recenti disastri e per questo in grado non soltanto di mettere d’accordo le diverse anime della coalizione, ma anche di attirare consensi in ampi settori della cosiddetta società civile. Meno comprensibile è che una proposta non ancora formalizzata suscitasse il pandemonio di cui si legge in questi giorni sui giornali.
Come tutte le proposte anche quella di Chiamparino poteva essere discussa, nel merito, nel metodo e soprattutto nelle sedi appropriate. Ma che il fuoco di sbarramento sia partito in modo tanto irrituale e violento proprio dall’interno del PD, per bocca di un personaggio come il neosenatore Mario Laus, fino a poche settimane fa presidente del consiglio regionale, la dice lunga sullo stato comatoso in cui versa un partito dove lo scontro tra le correnti per la spartizione dei posti ha sostituito il dibattito politico, le idee cedono il passo alle rivalità personali, e le mezze calzette rose dall’ambizione diventano protagoniste.
Prima o poi anche il corpo sano del PD – che pure esiste ed è un imprescindibile punto di partenza per qualsiasi discussione sul futuro della sinistra – dovrà porsi le stesse domande che tanti elettori delusi si sono posti in questi anni, e che qui in Piemonte, pragmaticamente, si potrebbero riassumere così: dovendo comperare un’auto usata, la comprereste da Salizzoni o da Laus?
Battista Gardoncini