Prima o poi dallo stallo provocato dal “rosatellum” bisognerà uscire, visto che la prospettiva di un ritorno alle urne con lo stesso sistema elettorale è impraticabile: sarebbero contrarie non soltanto le due forze che hanno vinto le elezioni e insieme hanno la maggioranza assoluta dei seggi, ma anche molti parlamentari degli altri partiti, a rischio di definitiva scomparsa. Dunque un governo si farà. Resta da vedere quale.
L’ago della bilancia è il PD che Matteo Renzi ha ingloriosamente condotto a una epocale sconfitta. Il suo appoggio, anche esterno, sarà determinante per la formazione di qualsiasi governo diverso da un innaturale convergenza tra i Cinque Stelle e la Lega. Ed è significativo che poche ore dopo il voto sia arrivata da Di Maio una cauta apertura nei confronti della sinistra, e che lo stesso Salvini, dopo aver sottolineato la compattezza non del tutto scontata del centro destra, si sia detto disposto ad accogliere il sostegno di una non meglio precisata “sinistra che non vota”.
Che farà dunque il PD, che ha un segretario dimissionario ma non ancora dimesso, e deve fare i conti con le sue diverse anime, rese ancora più litigiose dall’esito del voto? Il balletto delle dichiarazioni di queste ore non fa testo. I sostenitori dell’Aventino e quelli della trattativa sanno benissimo che prima o poi dovranno tornare a discutere di politica, e che dalle loro scelte non dipenderà soltanto il futuro del partito, ma anche l’assetto istituzionale del Paese per gli anni a venire. Anni e non mesi, perché chiunque riesca a uscire dallo stallo avrà poi tutte le carte in mano per consolidare la sua posizione.
Una delle prospettive su cui si è ragionato fino al 4 marzo prevedeva una convergenza tra il PD e la destra a guida berlusconiana sotto l’ombrello delle larghe intese benedette dal presidente della repubblica Mattarella. Ma il crollo contemporaneo del PD e di Forza Italia l’ha spazzata via dall’agenda politica, perché oggi nella cabina di comando della destra c’è Salvini, che perfino per il più allineato dei renziani è molto meno rassicurante di un Berlusconi appannato dagli anni e dagli stravizi.
Quanto ai Cinque Stelle, se è vero che nel corso della campagna elettorale non hanno risparmiato colpi bassi al PD, è anche vero che nei loro programmi esistono alcuni punti non del tutto estranei a una visione progressista della società, e comunque non classificabili nella categoria, troppo spesso usata a sproposito, del populismo. Ad esempio il reddito di cittadinanza, che esiste in moltissimi paesi ed è ben diverso dalla rappresentazione caricaturale che ne è stata fatta in campagna elettorale. E’ poco? E’ tanto? Dipende dai punti di vista, ma non bisogna dimenticare che è stato sufficiente per convincere milioni di elettori a votare Cinque Stelle, e che molti di loro provenivano dalla sinistra, come stanno dimostrando tutte le analisi dei flussi elettorali.
Un tavolo di discussione tra i Cinque Stelle e il PD non sarebbe dunque una eresia, e non metterebbe e rischio la sopravvivenza del PD. Per quella sono molto più pericolosi i ritardi nell’avvio di una seria discussione sui motivi della sconfitta. E Renzi, se resterà.
Battista Gardoncini