Il furbetto dello spottino

La forsennata campagna elettorale pro Renzi  portata avanti sulle reti televisive pubbliche in occasione delle ultime elezioni amministrative ha avuto esiti per lui disastrosi. Dunque è lecito nutrire qualche dubbio sul fatto che gli spot referendari in onda in questi giorni sulle stesse reti  siano in grado di influenzare l’esito del voto. La vittoria del si o del no dipenderà dagli umori di un paese stanco e sfibrato, che non crede più alle promesse dei partiti e si mobilita sulla base di sentimenti irrazionali, simpatie, antipatie e interessi particolari a volte inconfessabili.  Pochi sono attenti al merito delle proposte in campo, anche perché pochi sono in grado di capirle.  Come spiegava uno studio dell’autorevole linguista Tullio De Mauro pubblicato qualche anno fa, ma sempre attuale,  meno di un terzo degli italiani possiede i livelli di comprensione della lingua indispensabili per orientarsi nella vita di una società moderna. E la riforma proposta da Renzi, con tutti gli arzigogoli tra commi e articoli proposti dalle sue formulazioni, sembra fatta apposta per approfondire il solco tra i cittadini e le istituzioni.

Ciò detto, condivido l’irritazione del fronte del No per il comportamento del governo e dei vertici della  televisione pubblica che da questo governo sono stati nominati, e gli rispondono in modo diretto come mai era accaduto in precedenza. La semplificazione del quesito referendario e il modo con cui esso viene presentato negli spot  sono perfettamente in linea con un modo di amministrare la cosa pubblica che maschera i suoi pessimi contenuti con le pratiche retoriche tipiche del peggiore intrattenimento. Abbiamo avuto in passato i furbetti del quartierino, oggi c’è il furbetto dello spottino.

A partire dagli 80 euro in busta paga, e a seguire con le promesse non mantenute, le smentite del giorno dopo, i tweet irridenti, gli annunci mirabolanti di grandi opere utili soltanto alla contingenza del momento,  Renzi ha dimostrato di non avere sostanza. E’ abile e spregiudicato, come tutti i cacciaballe che prosperano in questo paese. E forse è anche pericoloso, perché, come tutti i cacciaballe, approfitta della debolezza dei suoi avversari  per ricavarne vantaggi per sé e per i suoi amici. Ma sicuramente non è l’uomo giusto per aiutare l’Italia a uscire da una crisi di dimensioni drammatiche,  che richiederebbe una ampia visione strategica e scelte attentamente meditate.

Figlio della televisione – è appena il caso di ricordare che lui e il leader della Lega Salvini hanno avuto i primi momenti di notorietà come concorrenti di quiz – Renzi è destinato prima o poi a cadere vittima dei suoi stessi comportamenti. Qualche avvisaglia si è avuta con il fallimento della riforma delle province, che dovevano essere abolite e sono diventate il mostro giuridico delle città metropolitane. Sull’Italicum stiamo assistendo in questi giorni ai penosi balbettii di un partito che ha scoperto di avere fortemente voluto una  legge elettorale fatta su misura per far vincere i suoi avversari. E che dire dei tira e molla sull’Europa, criticata sulle pagine dei giornali per guadagnare qualche punto nei sondaggi, ma supinamente accettata quando a Bruxelles arriva il momento delle decisioni vere?

Il referendum arriva in una fase intermedia della parabola renziana. Nel paese che sta toccando con mano le sue debolezze cresce l’insofferenza e tutti i sondaggi dicono che se si votasse oggi sarebbe sconfitto, ma l’esito di una consultazione che prevede una alternativa secca su un quesito oscuro non è prevedibile.   

L’azzardo piace al nostro presidente del consiglio, e a suo tempo Renzi disse che nel referendum si giocava tutto. Poi, come al solito, sono arrivate le smentite e le precisazioni. Ma il no sulla scheda resta a mio avviso il miglior modo per ricordargli la promessa iniziale.

Battista Gardoncini

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