“Il PD vara la riforma dell’Italicum”. Che velocità. Che efficienza. Che tempestiva capacità di rispondere alla unanime richiesta di un paese che ha già dimenticato il terremoto e vuole affrontare il futuro a viso aperto, con una legge elettorale nuova di zecca. Ero davvero colpito quando ho letto il perentorio titolo di apertura di repubblica on line. Poi ci ho pensato su un momento, e mi sono ricordato che, secondo la costituzione attualmente in vigore, non spetta ai partiti varare alcunché. Per approvare una legge servono i voti dei due rami del parlamento, con quel laborioso processo di accordi, affinamenti e riletture che Matteo Renzi e i suoi amici vogliono abolire.
Così ho deciso di leggere con più attenzione, e scoperto che non c’era stato alcun varo, e l’articolo si occupava dell’operato di una commissione di cinque persone – Lorenzo Guerini, Matteo Orfini, Luigi Zanda, Ettore Rosato e Gianni Cuperlo – incaricate di sottoporre gli esiti del lavoro agli organi statutari del partito. Quando, non era dato sapere.
Costoro, dopo averci pensato per ben tre riunioni, hanno riaffermato che il perno di un sistema elettorale deve essere fondato sull’equilibrio tra i due principi della governabilità e della rappresentanza. A tale scopo – hanno scritto – le verifiche realizzate rendono possibile la preferenza per un sistema di collegi inteso come il più adatto a ricostruire un rapporto di conoscenza e fiducia tra eletti ed elettori e la definizione di un premio di governabilità (di lista o di coalizione) che consenta ai cittadini, oltre alla scelta su chi li deve rappresentare, la chiara indicazione su chi avrà la responsabilità di garantire il governo del Paese attraverso il superamento del meccanismo di ballottaggio.
Che ci crediate o no, è tutto qui.
E dunque qualche riflessione si impone. La prima riguarda i cinque. Di cui non sono note specifiche competenze accademiche, ma in compenso è chiara la collocazione nella geografia interna del partito. Quattro sono renziani. Il sì al documento di Cuperlo, uomo della minoranza, potrebbe forse avere qualche interesse per chi ancora si appassiona alle dinamiche interne del PD. Ma i no arrivati a stretto giro di posta da altri esponenti della minoranza ne hanno messo fortemente in dubbio la rappresentatività.
Qui però si apre una questione più seria. Possiamo affidare un compito così delicato come la riforma della costituzione e delle leggi elettorali a una armata Brancaleone di persone che hanno fatto della autoreferenzialità una bandiera, della politica un mestiere, delle idee una merce di scambio? Possiamo fidarci di un partito che vuole riformare l’Italicum pochi mesi dopo averlo imposto in parlamento con un voto di fiducia, perché ha scoperto che con quel sistema elettorale perderebbe le elezioni? I voltafaccia in politica sono frequenti, ma di così repentini se ne sono visti pochi. E in ogni caso la questione non è soltanto etica. Su Renzi si è detto di tutto, nel bene e nel male, e in particolare gli sono state attribuite una notevole intelligenza politica e la capacità di prendere decisioni immediate. La vicenda dell’Italicum dimostra che forse non è così intelligente come hanno lo hanno descritto i suoi apologeti. E soprattutto che per governare un paese il decisionismo e la politica del fare non sono sempre un pregio. Anzi.
Infine, due parole sul ruolo della stampa. “Il PD vara la riforma dell’Italicum” è qualcosa di più di un titolo affrettato, superficiale e sbagliato. La confusione del suo estensore è lo specchio della confusione mentale di un paese allo sbando per motivi profondi, che riguardano l’economia, la cultura, i modelli di organizzazione sociale. E preoccupa, perché le risposte inadeguate della politica a questa situazione diventano pericolose quando sono raccontate da un giornalismo debole, fiaccato dalla crisi, asservito al potente di turno nella speranza di ricavarne un poco di ossigeno. Oggi più che mai gli italiani dovrebbero essere messi nelle condizioni di decidere con cognizione di causa, e per farlo avrebbero bisogno di una informazione che non si comportasse come un cucciolo scodinzolante, ma avesse la capacità e la voglia di essere un cane da guardia nei confronti del potere.
Battista Gardoncini