A proposito del film di Ken Loach, “Io, Daniel Blake”, a tutti vivamente consigliato, un critico cinematografico, e non il solo, riassumendo la vicenda, ha giustamente osservato: “…Sembra un’odissea molto italiana, invece tutto ciò accade in Gran Bretagna…”. E vien fatto di aggiungere: e purtroppo non siamo neanche nel cinema italiano! Purtroppo non c’è un Loach in Italia. E se c’è vive nascosto, in vana attesa di un produttore, che a sua volta magari colleziona dinieghi nel mettere insieme la catena di produzione. O, forse peggio, il presunto nostro Ken Loach vive in uno stato di quieta autocensura. In tema lavoro, da noi c’è “7 minuti” di Michele Placido, ben accolto, anche se non unanimemente, al recente festival di Roma. Argomento forte, una schiera di donne in lotta per la dignità del lavoro. Non sempre, tuttavia, le buone intenzioni coincidono con un buon film. E da noi spesso si fa molta confusione. Ma al di là del valore del film, rimangono inquietanti le parole del regista Placido, che ha riferito di aver ricevuto suggerimenti di lasciar perdere: “Michè, meglio le commedie”, gli era stato detto.
E, certo, non eravamo nella cinematografia tricolore con un altro recente capolavoro: “Un padre, una figlia”, del rumeno Cristian Mungiu. Qui, appunto, eravamo in Romania, ma potevamo benissimo essere in Italia: tra i temi del film, un padre che vede un futuro per la figlia solo all’estero, raccomandazioni e catene di amicizie per raggiungere obiettivi minimi o ottenere diritti elementari.
E non era italiano ma belga il film “Keeper” (il portiere nel calcio inglese), che ha vinto l’anno scorso il Torino film festival, purtroppo inedito in Italia: due ragazzi quindicenni di fronte a una maternità imprevista. Immagini rigorose ed essenziali, dialoghi incisivi, perfetto l’ambiente familiare e quello in cui si muovono i due ragazzi. E un finale agghiacciante. Qui da noi, sullo stesso argomento (ma quanti film in Italia “derivano”, dichiarati e spesso non dichiarati, da altri girati poco prima all’estero…!) abbiamo “Piuma”: una commediola ridanciana che può anche divertire e un po’ piacere: tuttavia, quantomeno eccessivo che fosse in concorso, a rappresentare il cinema italiano all’ultimo festival di Venezia…
Da noi, o commedie che molto di rado raccontano la società che viviamo, o drammoni rigonfi di retorica, urlati, piene di musiche assordanti o inopportune o inutili e comunque raccapriccianti, con l’idea che lo spettatore vada comunque “aiutato” con la musica a non annoiarsi di fronte ai vuoti espressivi e di racconto di taluni film, come poteva accadere negli anni ’50-’60, perché è ancora considerato minorenne, e tale deve restare. O, ancora, film patinati, scritti in elegante calligrafia, possibilmente con divi d’oltreoceano, in cui la coproduzione non è il mezzo, ma soltanto il fine, fine a se stesso. E non ultimo, come si diceva, l’autocensura: meglio non rischiare.
Nino Battaglia