Nel dopo voto “social” tutti esortano alla riflessione: vincitori e vinti, protagonisti e comprimari, eletti e trombati, commentatori di professione e leoni della tastiera. Esortano, ma non riflettono, perché la riflessione richiede un grado minimo di competenza sugli argomenti affrontati, o il tempo necessario per documentarsi. Quindi preferiscono gridare, insultare o fare il tifo.
Il reddito di cittadinanza è uno dei temi del momento. In campagna elettorale è stato uno dei cavalli di battaglia dei Cinque Stelle, e molti sostengono addirittura che proprio da questa proposta sia dipeso l’enorme successo ottenuto dal movimento. Tanto è vero che, secondo alcuni giornali, oceaniche folle avrebbero già preso d’assalto i caf del sud pretendendo di avere i moduli per le relative richieste, visto che “Di Maio aveva vinto le elezioni”.
Su quest’ultimo punto c’é poco da riflettere. Basterebbe informarsi meglio per scoprire che il caf era uno solo, che le persone in coda erano lì per avere informazioni su altri tipi di sussidio, e che qualcuno ne aveva approfittato per chiedere agli impiegati notizie sul reddito di cittadinanza.
Semmai bisognerebbe riflettere sul modo caricaturale in cui il reddito di cittadinanza è stato presentato da molti giornali nel corso della campagna elettorale, che hanno preferito liquidare la questione come una ennesima manifestazione di “populismo”, e quasi mai sono entrati nei dettagli.
Se lo avessero fatto, forse anche le persone in coda in quel caf avrebbero già saputo che il reddito di cittadinanza di cui si sta discutendo non è pensato per essere distribuito a tutti i cittadini indipendentemente dalle loro condizioni, come è proprio dei veri redditi di cittadinanza, ma prevede che a goderne siano soltanto maggiorenni e disoccupati, oppure persone che percepiscono un reddito o una pensione inferiore alla soglia di povertà. Per riceverlo. se non si è pensionati, occorrerà iscriversi ai centri per l’impiego, accettare uno dei primi tre lavori offerti, partecipare a progetti utili per la collettività e a corsi di formazione. Tutto ciò per un sussidio di circa 780 a euro al mese, o sufficiente a portare il reddito a 780 euro, con alcune variazioni in base alle dimensioni del nucleo familiare.
A voler cercare il pelo nell’uovo la proposta dei Cinque Stelle è ambigua per il nome scelto, ma certamente non è “populista”. Strumenti analoghi esistono già in molti paesi occidentali, e perfino l’Italia sta per adottarne uno con il REI, il reddito di inclusione, che prevede sussidi per chi si trova in situazione di povertà. La differenza sta nelle dotazioni finanziare, che per il REI sono basse, mentre i Cinque Stelle prevedono per il reddito di cittadinanza una spesa pubblica variabile tra i 15 e i 30 miliardi.
Sembra tanto, e molti di quelli che oggi invitano alla riflessione hanno già sentenziato che la proposta è irrealizzabile. Accogliendo il loro invito, però, ci si accorge che per salvare il nostro sistema bancario abbiamo speso molto di più. Senza neppure rifletterci.
Battista Gardoncini