Di Maio e il ragionier Rovi

Dunque Luigi di Maio è stato  proclamato candidato premier e anche nuovo leader dei Cinque Stelle. Proclamazione che segue le primarie, o meglio la consultazione on-line sulla cosiddetta piattaforma Rousseau dei – come chiamarli, militanti, iscritti, elettori? – grillini.  Un metodo su cui ancora una volta si sono addensati molti dubbi di funzionalità e attendibilità. Anche perché a Di Maio non sono stati opposti i big del movimento, tutti esclusi dalla consultazione. Solo un manipolo di carneadi. Nessun rivale degno di questo nome.  Alla fine a quanto pare, dopo ritardi e disguidi e forse anche qualche hackeraggio micidiale, i votanti sono stati meno di 40 mila. Un manipolo a dir poco esiguo, si direbbe, per indicare la strada a oltre 60 milioni di italiani.

A me piacciono i voli pindarici, i collegamenti fantasiosi. Così mi perdonerete se su questa vicenda mi viene in mente un brano di Primo Levi, (di cui ricorrono i trent’anni dalla morte) ne “La Tregua”, il seguito del libro più famoso “Se questo è un uomo”: il racconto della liberazione dal campo di sterminio di Auschwitz e soprattutto l’assurda odissea del ritorno a casa attraverso l’Europa devastata. Il racconto è in realtà una galleria impareggiabile di personaggi umani, o per meglio dire di caratteri quasi da commedia dell’arte. Ritratti con sguardo ironico, persino divertito, ma anche implacabile. Uno di questi è il ragionier Rovi, incontrato nella città polacca di Katowice, che, scrive Levi, … era diventato capocampo non per elezione dal basso, né per investitura russa, ma per autonomina: infatti …possedeva in misura assai spiccata la virtù che, sotto ogni cielo, è la più necessaria per la conquista del potere, è cioè l’amore per il potere medesimo… Come il ragno senza tela, così Rovi senza carica non sapeva vivere…  Aveva organizzato una scrivania, con moduli… timbri, matite di vari colori e libro mastro; pur non essendo colonnello, anzi, neppure militare, aveva appeso fuori della porta un vistoso cartello: “Comando Italiano – Colonnello Rovi”.

Come tutti i paragoni, anche questo, lo ammetto, funziona fino a un certo punto. Il giovane onorevole Di Maio è tutt’altro che uno sprovveduto. E in ogni caso non gli basterà la sete di potere, di cui è sicuramente dotato,  per ottenere il potere medesimo. Ma la sensazione è che per lui, e anche per i vertici Cinque Stelle, il concetto di investitura popolare sia piuttosto relativo. Un specie di fastidiosa formalità, che bisogna in qualche modo fingere di rispettare in nome di una ormai improbabile “diversità”. In fondo l’importante è riuscire ad appendere fuori della porta il cartello: “Governo Italiano – Presidente Di Maio”.

Orlando Perera

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