di Victor Serge – Troppe parole, in questo Paese. Ma nel balletto degli annunci e delle dichiarazioni, peraltro quasi mai seguite dai fatti, la montagna è il grande assente. Eppure montagne e colline si estendono su gran parte del territorio nazionale, e non esiste regione che non debba fare i conti con i problemi di chi non è sceso a valle alla ricerca di una vita più comoda. Non solo anziani, peraltro. Negli ultimi anni sono tanti i giovani che guardano all’insù. Alcuni per necessità, perché nelle città non c’è più lavoro. Altri per scelta, perché le terre alte offrono una naturale valvola di sfogo a chi vuol dire basta agli ambienti caotici e inquinati, ai ritmi forsennati che mettono in crisi i rapporti umani, e più in generale a una società che si regge sul consumismo sfrenato e quasi sempre indotto.
Ci sarebbe davvero di che discutere, e forse con maggiore costrutto di quando ci si accapiglia sul sistema elettorale prossimo venturo. L’esempio di altri paesi, come l’Austria, la Svizzera e in parte la Francia, dimostra che la scelta di investire sulla montagna, garantendole se non altro la par condicio con la pianura sul tema dei servizi, dei collegamenti e della distribuzione delle risorse, non sarebbe una ennesima forma di assistenzialismo fine a se stesso, ma una scelta intelligente e coraggiosa per un migliore uso delle risorse pubbliche disponibili.
Invece niente. Non soltanto la politica nazionale si dimentica della montagna, ma sembra anche considerarla un corpo estraneo in una società che ha ben altro di cui occuparsi. Le parole d’ordine che in questi ultimi anni vanno per la maggiore, a partire dalle privatizzazione dei servizi, sembrano fatte apposta per colpirla. Che altro significa il taglio delle linee ferroviarie minori, che un compiacente sistema dei media si è affrettato a ribattezzare “rami secchi”? E che dire della chiusura delle scuole, dei piccoli ospedali e degli uffici postali in nome di una inesistente razionalizzazione, visto che al loro posto non è arrivato niente e che i bilanci continuano a fare acqua esattamente come prima? Poche cose sono rimaste pubbliche in montagna, e guarda caso sono quelle che servono alla pianura, come l’acqua dei bacini.
Perfino una grandissima risorsa come le piste da sci meriterebbe una seria riflessione. Quante delle ingenti somme spese per fare sciare sempre e comunque i cittadini sulla neve artificiale restituiscono qualcosa alla montagna e ai suoi abitanti? Qualcuno ha fatto seriamente un calcolo sul rapporto tra i costi dello sci da pista e i suoi benefici? L’anno scorso, secondo l’osservatorio turistico della montagna, quasi tutte le stazioni sciistiche italiane hanno visto ridursi le presenze, e si sono salvate con il turismo straniero. Che prima o poi potrebbe anche decidere di andare altrove, dove i prezzi sono più bassi e l’ambiente meno sfruttato.
I temi da affrontare sarebbero moltissimi, dal mercato delle seconde case all’agricoltura di montagna, dal turismo sostenibile al recupero delle tradizioni locali, dal miglior uso dei fondi europei alle agevolazioni fiscali per chi risiede in zone disagiate, dalla diffusione della banda larga all’uso consapevole delle risorse naturali. Pochi lo fanno, ma le loro voci si perdono nel rumore che assorda il Paese.