Il governo annuncia sei miliardi di investimenti per portare in Italia la banda ultralarga, e spera di ottenerne altri sette grazie ai finanziamenti europei e al coinvolgimento dei grandi operatori privati. Vuole una rete a fibre ottiche diffusa sul territorio, che entro il 2020 dovrebbe sostituire il classico doppino in rame per rendere più sicure le comunicazioni e consentire all’85% della popolazione di navigare alla velocità di 100 mega al secondo. Più di quanto prevedono gli obiettivi comunitari, e meglio di quanto si sta realizzando in paesi di gran lunga più evoluti del nostro dal punto di vista digitale.
Abituati come siamo ai proclami di Renzi, non sempre seguiti dai fatti, si sarebbe tentati di dire “chi vivrà vedrà”. Ma fin d’ora, analizzando la documentazione fornita dai ministeri competenti, si può notare che se anche il progetto andasse in porto la montagna italiana continuerebbe ad essere la Cenerentola della rete. Proprio in montagna, infatti, risiede quel 15% di abitanti che dovrà aspettare ancora, perché portare nelle frazioni isolate di Alpi e Appennini la preziosa fibra risulterebbe tecnicamente complicato e troppo costoso per gli operatori privati, più attenti ai bilanci che al bene comune. Dunque avanti con il rame, con tutti i suoi limiti, dove già c’e’. E pazienza per chi non ha nemmeno quello, e da anni si lamenta per il “digital divide”, il divario digitale che separa le Terre Alte dalle città.
Del resto, i montanari ci hanno fatto l’abitudine. Le difficoltà di accesso alla rete sono soltanto l’ultima goccia, dopo l’eliminazione dei rami secchi delle ferrovie, i servizi sanitari depauperati, le scuole chiuse, la posta consegnata a singhiozzo. Perfino il loro voto, per come sono stati disegnati i collegi elettorali, vale di meno. E non è certo un caso