Sierra Maestra

di Victore Serge – Per alcuni è un regime destinato a finire con la dinastia dei Castro. Per altri una rivoluzione che ha trasformato nel profondo uomini e cose, e sopravviverà alle lusinghe del mercato anche quando alla guida arriveranno uomini nuovi, più aperti al resto del mondo e più attenti ai diritti e alle aspirazioni delle persone. Comunque la si pensi, Cuba resta ancora oggi uno straordinario e forse unico esempio di un paese che, dopo aver sconfitto il colonialismo spagnolo nel 1902, fu sottoposto per i successivi cinquanta anni al soffocante abbraccio dell’industria e della malavita statunitense, e seppe liberarsene con le sue sole forze, per iniziativa di un pugno di uomini liberi e coraggiosi.

Tutto partì dalle montagne della Sierra Maestra, modesti rilievi per chi è abituato all’asprezza delle Alpi, ma resi impenetrabili da una vegetazione fittissima e dalla mancanza di vie di comunicazione. E’ qui che Fidel Castro, con il fratello Raul, l’argentino Ernesto Che Guevara, Camilo Cienfuegos e pochi altri, scelse la strada delle armi – che non avevano e si procurarono con imboscate e attacchi alle caserme – per cacciare il corrotto dittatore Fulgencio Batista. In due anni appena, tra il 1957 e il 1959, promettendo terra e istruzione ai contadini poveri dell’isola, arrivarono all’Havana e presero il potere.

Quel che accadde poi è noto nelle sue grandi linee. La riforma agraria. Le banche e le industrie nazionalizzate. L’avvicinamento all’Unione Sovietica dopo la rottura con gli Stati Uniti, che finanziarono senza risultati l’opposizione armata al nuovo governo e imposero il blocco di tutti gli scambi con l’isola.  Il crescente autoritarismo del regime e la repressione del dissenso. Una economia interamente basata sulla vendita dello zucchero ai paesi fratelli, che andò in crisi dopo il crollo del comunismo costringendo il paese a tirare la cinghia, come ammise lo stesso Fidel in un celebre discorso.

Oggi Cuba sta cambiando: il turismo è la principale fonte di reddito per la popolazione, e l’iniziativa privata si sta sviluppando, mentre si intensificano i colloqui con gli Stati Uniti  per ristabilire normali relazioni diplomatiche tra i due paesi. Nessuno può dire che cosa capiterà nei prossimi mesi. E certo non aiuta a capire il fatto che  sulla realtà cubana i  media internazionali continuino a dare grande spazio alle informazioni degli esiliati di Miami, sulla cui attendibilità, stando almeno ai continui e falsi annunci della morte di Fidel,  è lecito qualche dubbio, e al  blog della dissidente Yoani Sanchez, che esprime opinioni rispettabili ma, per sua stessa ammissione, parziali.

Amnesty International dice che ancora oggi a Cuba i diritti umani non sono garantiti. Però sono diritti anche la scuola gratuita per tutti, fino all’università dove si accede per merito, e dove hanno studiato migliaia di studenti del terzo mondo che guardano con gratitudine e simpatia alla rivoluzione. Un sistema sanitario efficiente e diffuso in tutta l’isola. La “libreta”,  una tessera annonaria che distribuisce a ogni cubano un paniere di beni di prima necessità. Le abitazioni, che per il settantasei per cento sono di proprietà. I trasporti a prezzo politico, la corrente elettrica e i frigoriferi in ogni casa, che nel clima dell’isola non sono un lusso ma una misura di prevenzione. Non c’e’ confronto con altri paesi caraibici, come la vicina Haiti. A Cuba nessuno muore di fame.  Il colore della pelle non conta, le donne non sono discriminate, nessun bambino vive sulla strada e nessun anziano è lasciato solo.  L’orgoglio per quello che è stato fatto a partire da quei giorni lontani sulla Sierra Maestra è palpabile, e  la consapevolezza delle difficoltà è  accompagnata da una inaspettata dose di humour. Come spesso si sente dire, sarà forse vero che Cuba è una dittatura, ma è anche vero che a Cuba tutti fanno quello che vogliono.

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