Il ministero del Turismo del Nepal sembrerebbe aver accetto molte delle richieste avanzate dagli sherpa dopo la tragedia di venerdì scorso. Al momento, tuttavia, l’inizio della stagione alpinistica sul versante meridionale dell’Everest è ancora incerta. Al campo base molti sherpa continuano a chiedere la sospensione di ogni attività sull’Ice Fall.
Nella giornata di ieri, martedì 22 aprile, ai piedi dell’Everest si è svolta un’affollata cerimonia in memoria delle vittime della valanga che ha spazzato la seraccata del Khumbu. Oltre al dolore, i sentimenti che sembrano prevalere tra le fila degli sherpa sono sconforto e rabbia. Soprattutto nei confronti del governo nepalese. Ad essere adairati sono soprattutto gli sherpa più giovani, quelli tecnicamente più qualificati, che fanno parte della International Federation of Mountain Guide Association (IMFGA). Si discute anche del fatto che le pendici della più alta montagna del globo siano oggi diventate più instabili rispetto al passato, e che l’Everest presenti un maggior grado di pericolo.
Mentre scriviamo, due delle organizzazioni che hanno perso parte dei loro sherpa nell’incidente di venerdì scorso, Adventure Consultants e Alpine Ascents, hanno annullato i loro propositi di salita. Altri gruppi organizzati, tra cui Himalayan Experience (Himex), Altitude Junkies e International Mountain Guides (IMG), sono tuttora al campo base e attendono di capire come si evolverà la vertenza sherpa. Sembra che alcune delle guide locali siano disposte a continuare la stagione, ma per certo accetteranno la decisione della loro comunità.
Oggi a Kathmandu dovrebbe esserci un incontro tra una rappresentanza sherpa e i vertici del ministero del Turismo. Qualcuno pensa che si arriverà ad un accordo circa il proseguimento della stagione alpinistica. Per ora, tuttavia, non è stata presa nessuna decisione in merito. Quello che si sa, e che si intuisce, è che la tragedia del 18 aprile ha segnato in profondità le comunità della Valle del Khumbu, e che la reazione degli sherpa potrebbe modificare profondamente il corso del turismo e dell’alpinismo sulle più alte montagne dell’Himalaya. È peraltro evidente che, in un momento come questo, occorra ripensare seriamente il modello seguito fino ad oggi. È sufficiente pensare a quanto’è capitato lo scorso anno, con la rissa tra scalatori occidentali e giovani sherpa, per rendersi conto di quanto la situazione del turismo ad alta quota sia tesa. Una soluzione equa e adeguata dovrà essere trovata a tutti i costi.