di Alfio Bessone – Un inizio di stagione con cesoie, accetta e motosega. Tutta colpa delle due settimane di gelo intenso arrivate d’improvviso tra fine gennaio e inizio febbraio.
Prima che le gemme cominciassero a buttare fiori e foglie, qualcuno non se ne sarà neanche accorto. Ma adesso i danni si vedono bene, eccome. Molte piante ornamentali sono state bruciate dal freddo. Ma la malasorte non è toccata solo a quelle: tra gli arbusti che crescono intorno agli orti sono seccati gli allori, e qualche danno lo hanno subito anche gli alberi di pesche e albicocche. Più in basso, nei fondovalle, sono morte diverse piante di kiwi. E chi, in questi anni, sì è lasciato tentare dalla moda dell’ulivo anche in montagna, si è trovato nei guai, anche se aveva scelto delle varietà capaci di resistere al freddo.
Quando il termometro scende in picchiata, c’è poco da fare: la differenza tra le essenze vegetali adatte alla montagna e le altre diventa fondamentale. Può andarti bene per qualche anno, se le stagioni sono buone, ma prima o poi, se hai ceduto rispetto alla tradizione e all’esperienza, paghi dazio. Inutile recriminare.
A inizio anno, però, quassù le cose si sono complicate anche per un altro motivo. Ci sono state giornate miti e soleggiate per buona parte di gennaio, con temperature in qualche caso persino eccessive. Fosse capitato solo per qualche giorno, non sarebbe successo niente di particolare. Invece il caldo anomalo è durato per un po’. E così la linfa ha cominciato a scorrere nelle vene degli alberi. Se ne sono accorti quelli che, convinti che la primavera avesse anticipato di due mesi, avevano cominciato a potare: un attimo dopo il taglio, i rami cominciavano a “piangere” con una certa abbondanza, segno che la vita vegetale aveva ripreso il suo ritmo stagionale. E infatti, nelle conche più riparate e sui pendii esposti a sud, la vegetazione dava segni di risveglio quasi ovunque. Le gemme si erano gonfiate che neanche a fine febbraio, delle volte, le vedi così, e nei prati cominciavano a spuntare i primi boccioli di primula. Poi il gelo è arrivato di colpo e ha inchiodato tutto.
Nel giro di poche ore è tornato l’inverno, e il paesaggio è diventato un cristallo. Sono state due settimane dure, con tanto ghiaccio, peggio che a metà degli anni ’80. Con la neve che non si trasformava e non si assestava, e che rimaneva farinosa per giorni. Come capita quando fa davvero freddo e il rialzo delle temperature diurne non fa iniziare il processo di fusione e di trasformazione dei cristalli. E nel mondo vegetale, la linfa, che aveva già cominciato il suo viaggio verso l’apice delle piante, è gelata e ha fatto scoppiare il reticolo dei vasi in cui scorre a partire dalle radici. Proprio come è successo nei tubi dell’acqua di chi aveva riavviato la circolazione idrica, sicuro che ormai la stagione fredda fosse definitivamente alle spalle.
In certe zone adesso ci sono delle grosse macchie gialle, specialmente intorno alle borgate e alle frazioni, dove la gente ha abbondato nel piantare arbusti ornamentali che d’inverno meriterebbero di stare in una serra. Tutto secco. Anche alberi di una certa altezza, che erano riusciti a cavarsela per un bel po’ di inverni e sembravano ben ambientati. Anche perché le protezioni piazzate all’ultimo momento – paglia intorno al colletto delle piante e carta da sacco intorno ai tronchi – non sono servite a niente. L’unica cosa da fare, adesso, è eliminare tutto ciò che è seccato e tagliare i rami morti. E se proprio si vuole piantare di nuovo, bisogna che lo si faccia in posizioni diverse, più riparate, in pieno sud, evitando di sbagliare di nuovo con essenze troppo delicate. Ché tutte le altre piante, nonostante il gelo, sono sopravvissute senza problemi. D’altra parte la memoria degli anziani e la tradizione proprio a questo servono: a mettere il sale nella zucca a quelli che si fanno ingannare dalle prime giornate calde e non si ricordano di cosa è successo solo l’altro ieri. «A mnî vei, un pért lou méei», a diventare vecchi si perde il meglio, dicono da queste parti. Ma in certi casi è il contrario.